Lettera al direttore

Spunto di riflessione

Se essere area di crisi complessa vale qualcosa

L'analisi di Franco Astengo

corteo bombardier

“Se essere area di crisi complessa vale qualcosa, ci devono essere atti conseguenti. Altrimenti ci dicano che non vale niente”.

Questa è la dichiarazione rilasciata oggi dal segretario della Fiom Savona Mandraccia rispetto agli ultimi dolorosi sviluppi della crisi industriale savonese, in particolare nello specifico della situazione Bombardier mentre la vicenda Piaggio appare ancora del tutto sospesa per aria.

Senza voler rivendicare alcuna primazia ma soltanto per sottolineare come si fosse provveduto per tempo ad avvertire che la dichiarazione di area di crisi complessa non avrebbe contribuito a risolvere i problemi centrali della nostra industria (della quale nel frattempo si sono perso altri pezzi come nel caso di Asset ed altri sono in forte difficoltà come l’indotto Piaggio) si ripubblica una ricerca sul tema datata 15 luglio 2016, allorquando l’idea di richiedere la dichiarazione relativa all’area di crisi complessa stava prendendo piede.

Intanto siamo arrivati alla fase della presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni previste: le domande assommano a circa 60 milioni di richiesta per 20 milioni di disponibilità per una previsione complessiva di 800 posti di lavoro in vari settori.

Un quadro quindi del tutto incerto e da determinare.

Gli interrogativi che si rivolgevano due anni e mezzo fa rimangono tutti validi ed è questa la ragione della ri – pubblicazione di quanto si potrà leggere di seguito.

Franco Astengo

Attenzione al concreto di ciò che significa la dichiarazione di area di crisi complessa (da una ricerca a cura di Franco Astengo) del 15/7/2016

Il precipitare della situazione economico – produttiva della zona centrale ligure, tra Savona, Vado Ligure e la Valbormida, acuita dalle crisi contemporanee della centrale Tirreno Power e del sito Bombardier ha creato grandi aspettative circa la possibilità che l’area sia dichiarata “di crisi complessa”.

In questo momento la soluzione appare come la panacea di tutti i mali.

Attenzione però, è necessario approfondire molti aspetti problematici sui quali sarebbe bene fare chiarezza

Prima di tutto è necessario mettere in guardia tutti i soggetti interessati di fronte ad un problema.

Se si vogliono attivare questi strumenti si richiedono “due competenze: amministrativa e politica – istituzionale e di cittadinanza attiva, se vogliamo che i fondi non si perdano né per corruzione né per omissione”. E, mentre il ritardo della nostra città nel seguire procedure così complesse è noto, non si dimentichi che il territorio in questione è al centro di una grave questione riguardante (per quel che concerne la centrale Tirreno Power) il rapporto tra la produzione e l’ambiente con precisi risvolti di carattere giudiziario.

Andiamo quindi ad analizzare il decreto legge dell’agosto 2012 che riordina la disciplina delle aree di crisi industriale.

Notiamo come:

– Nel comma 2 la Regione è istituzione indispensabile e strategica di questo genere di accordi, sia nella istituzione dell’area di crisi che attraverso il cofinanziamento all’area (che non è esclusivo ma pone la regione come soggetto preminente),

– Nel comma 6 “Per la definizione e l’attuazione degli interventi del Progetto di riconversione e riqualificazione industriale, il Ministero dello sviluppo economico si avvale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, S.p.A., le cui attività sono disciplinate mediante apposita convenzione con il Ministero dello sviluppo economico”.

E’ necessario quindi avere chiari alcuni passaggi. Basta che Regione e Invitalia (questo il mome dell’agenzia) facciano sinergia, tra politiche finanziarie e scelta dei partner, e l’area interessata rischia di fatto l’imposizione di una politica dettata altrove.

Passiamo quindi a capire un attimo Invitalia. E qui c’è da vigilare moltissimo, visto che Invitalia è reduce dal sostanziale fallimento della riconversione di Termini Imerese e dai forti rilievi della Corte dei Conti, come già documentato dalla stampa quotidiana..

Viste le indicazioni che vengono dalla vicenda tarantina, che pure ha originato il decreto, cerchiamo di capire come funzionano i fondi a supporto delle aree a crisi industriale.

Il decreto è chiaro: i fondi provenienti dalle varie istituzioni riconducibili allo stato centrale sono vincolati ai”limiti degli stanziamenti disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Non ci vuole molto a capire che di stabilità la legge di stabilità regola e, se necessario, sposta e contrae questi fondi. E proprio una misura prevista nella legge rischia di rendere lo strumento della individuazione delle aree di crisi complessa una cornice vuota, perlomeno dal punto di vista dei fondi dello stato centrale. Infatti: nella bozza legge di stabilità per soddisfare il controllo previsto dal Two Pack di Bruxelles c’è “la previsione una riduzione di investimenti per 500 milioni: concretamente si tratta di spese relative al cofinanziamento di fondi europei, che le Regioni potevano escludere dai vincoli del Patto di stabilità interno. Ora questa possibilità, appena introdotta con l’articolo 36 della legge di Stabilità, verrà meno”.

Verifichiamo allora (è bastata una piccola ricerca in via telematica) alcuni elementi di criticità già rilevati in altre situazioni:

DE IURE. L’assenza di regolazione nel decreto dei vettori finanziari, player bancari etc. che sono decisivi per l’allocazione delle risorse e per riuscita e programmazione degli interventi. Non è chiaro ad esempio, si pone a problema da capire, il DL 120 del 1989, riordinato dal decreto del 2012 in questione, effettivamente come si ordini la questione dei player finanziari. Non è poco perchè una cosa è far intervenire la cassa depositi e prestiti in progetti di riconversione, altra, con ricadute sui costi pubblici e sulla qualità dell’occupazione, l’istituto del project financing

DE FACTO

Manca la comprensione dello strumento economico complessivo di riconversione del modello di sviluppo territoriale. Oltre infatti ad un rischio commissariamento Regione-Invitalia, che va scongiurato con patti seri e certificabili, c’è la questione delle risorse strutturali disponibili. Guardiamo ad esempio il destino dei fondi ex FAS, oggi coesione e sviluppo che possono rientrare nella cornice dell’accordo sulle aree a crisi complessa. Per sbloccare questi fondi bisogna capire quando c’è “disponibilità di bilancio in conseguenza delle scelte del legislatore (Governo e Parlamento) nella determinazione delle manovre correttive di finanza pubblica e delle annuali sessioni di bilancio” .

Il rischio che si corre e che è già stato segnalato da situazioni analoghe è quindi di legarsi ad accordi di governance dove, ci venga scusato il gioco di parole, non si governa. Magari si partecipa come oggetto dell’intervento di crisi, come oggetto di intervento su fondi e politiche di immediata emergenza. Ma dove, alla lunga, i soggetti forti sono altri, come la sinergia Regione-Invitalia, e dove i fondi reali appaiono fortemente vincolati dalle politiche di tagli del governo.

Ci sono poi altre questioni di fondo che non possono essere trascurate. Questioni che non ci risultano finora essere state discusse, in modo approfondito, in sede istituzionale. Prima tra tutte: si ha un’idea dell’impatto che ha un accordo sulle aree ad industrializzazione complessa ha sull’economia complessiva del territorio?

C’è poi la questione della sinergia politica industriale-ambientale (tema particolarmente delicato nel frangente) e politica economica complessiva del territorio e strumenti finanziari (dal macro e microcredito).

In materia c’è un testo, che a questo punto dovrebbe essere discusso pubblicamente, che è Crisi industriali complesse e accordi di programma di Cristina Sgubin (Giappichelli, 2013). Edito da una casa editrice, la Giappichelli, specializzata in testi giuridici, il libro della Sgubin ha il pregio di far capire quale spirito e quale sostanza normativa vengano applicate in questo genere di accordi. E vale la pena di far notare come, basta seguire la parte dedicata al rapporto tra concezione dell’impresa nel diritto comunitario e nel diritto italiano come, in accordi del genere, si faccia valere qualcosa che è estraneo allo spirito della nostra costituzione. E’ infatti noto, come giustamente sottolinea la Sgubin, l’elemento di contrapposizione tra diritto comunitario, che segue lo spirito del diritto tedesco, che garantisce lo stato sociale di mercato mentre quello italiano segue lo stato sociale di diritto (non solo in Italia ma anche in Portogallo, Spagna etc, tutti paesi sui quali alti sono i lamenti delle grandi banche di investimento americane a causa delle troppe garanzie date alla popolazione). La differenza tra le due formule sta nel primato dell’impresa nella definizione delle politiche territoriali. .

In venti pagine del libro della Sgubin c’è tutta la letteratura scientifica necessaria per constatare quanto qui esposto.

In Germania, e pure da quelle parti c’è un diritto al quale la Ue si è ispirata, si sono tutelati rispetto al problema della subordinazione del diritto nazionale rispetto a quello comunitario. Quando la corte costituzionale di Karlsruhe ha stabilito il primato della legislazione tedesca sulla normativa continentale in caso di contraddizione. In Italia invece basta declamare la retorica dei valori della costituzione mentre, come vediamo, nelle politiche di governance questi vengono regolarmente rovesciati. E’ quindi evidente che, al di là delle intenzioni si approvi l’inizio di procedure che vanno esattamente al contrario di quanto auspicato. Ovvero il primato dell’impresa anche rispetto al territorio che vuol attivare gli accordi di governo della riconversione industriale.

Di conseguenza è necessario porsi alcune questioni:

Se la richiesta dell’ottenimento di aree di crisi industriale complessa sia più adatta per l’emergenza, vedi questione fondi che la Regione può attivare, che non per la programmazione reale

Se non ci siano delle criticità rispetto ad un ruolo subordinato degli enti locali entro questo genere di architettura istituzionale. Se l’architettura istituzionale che vede un ruolo forte della possibile sinergia Invitalia -Regione sia adatta per le esigenze della nostra città.

Se ci siano effettivamente fondi adatti ad programmare in tempi certi, e da parte di chi, la riconversione la bonifica del territorio e in quali tempi

Quanto queste politiche possano produrre saldi occupazionali positivi, di lungo periodo ed economicamente significativi. Quale modello possa poi coprire il resto ovvero la parte significativa di popolazione che non verrà raggiunta dalle politiche industriali e del lavoro.

Come in sede locale si possa ricavarsi un proprio incisivo spazio di governance multilivello fatto concretamente di collaborazioni, sinergie, istituzioni che cercano e indirizzano fondi bypassando lo spazio nazionale. E sterilizzando il primato dell’impresa così come è previsto dal diritto comunitario.

Quale modello complessivo di territorio emerga anche su un punto non eludibile: l’uscita di Vado Ligure dalla situazione di nocività ambientali.

Alla fine rimane un interrogativo di fondo, per quel che concerne la situazione della Bombardier di Vado Ligure: in quale posizione, dal punto di vista delle prospettive di sviluppo produttivo, si trova il sito nei riguardi del complesso di attività di un gruppo multinazionale così importante?

A questo domanda le istituzioni e i sindacati dovrebbero cercare di fornire una risposta plausibile e concreta che fin’ora, al di là della retorica dei patti traditi, non si è avuta.

Oppure è sufficiente che arrivino un po’ di ammortizzatori sociali tanto per spegnere la tensione immediata senza riflettere, come è accaduto varie volte dalle nostre parti, su di una programmazione per il futuro?

Questi infine i riferimenti di carattere legislativo:

Rilancio aree di crisi industriale (Legge 181/89)

L’art. 27 del Decreto Crescita 2012 ha riformato la disciplina degli interventi di reindustrializzazione delle aree di crisi, introducendo forme di intervento a sostegno delle cosiddette “aree di crisi complessa”, la cui disciplina attuativa è stata già adottata con decreto del Ministro dello sviluppo economico 31 gennaio 2013.

Con decreto ministeriale 9 giugno 2015 sono stati stabiliti i termini, le modalità e le procedure per la presentazione delle domande di accesso, nonché i criteri di selezione e valutazione per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al rilancio di tutte le aree di crisi, sia quelle caratterizzate da crisi complessa, sia quelle interessate da situazioni di crisi industriale non complessa, ma comunque con impatto significativo sullo sviluppo dei territori e dell’occupazione.

Con circolare del Direttore generale per gli incentivi alle imprese 6 agosto 2015, n. 59282, sono fornite ulteriori indicazioni specifiche e specificazioni relative alle modalità di concessione ed erogazione delle agevolazioni e di presentazione delle domande da parte delle imprese.

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