Per un pensiero altro

Le radici dell’infinito

Per un Pensiero "Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

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Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista?
Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.

Scrive Simplicio: “Anassimandro ha detto che il principio degli esseri è l’infinito”, infinito che il filosofo chiamava “a’-peiron”, traducibile con privo di péirata, di confini. Un po’ come dire che il principio di ogni cosa è il momento in cui non tanto viene messa al mondo, creata dal nulla, generata da altro, ma quando il tutto che è da sempre e per sempre, prende a distinguersi in unità. Di certo il mio ormai sottile lettore avrà colto lo stretto legame dell’affermazione anassimandrea col principio moderno: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

Riannodati così i fili del discorso, possiamo ora dare seguito, sempre con grande libertà, agli stimoli intellettuali seminati in chiusura dello scorso articolo. Se più di 2500 anni fa il pensiero greco alle sue origini era riuscito a cogliere il senso del principio, lo aveva fatto sicuramente in maniera geniale con l’ormai noto Anassimandro quando, l’unità indistinta del tutto, che, come chiarito nell’incipit, lui definiva con il termine apeiron, si vedeva scissa irreversibilmente dal sopravvenire di un essere assolutamente nuovo, un essere che si scopriva capace al pensiero. Ma proviamo ad immaginare come ha avuto luogo l’inizio: il pianeta azzurro, dopo più di quattro milardi di anni di travagli geologici, climatici, astronomici, sembra trovare pace lungo la sua orbita popolandosi lentamente di microorganismi privi non solo di coscienza di sè, ma inesistenti individualmente e di fatto più simili ad una colonia che ad un individuo. Lungo un tortuoso itinerario fatto di memorie genetiche e proteine, la specializzazione e la selezione naturale hanno prodotto degli esseri che ancora non sapevano di essere alcunchè, ma che, meravigliosamente, avevano in sè le potenzialità che avrebbero dato inizio all’umanità.

Fu così che, probabilmente, un giorno un primate prese nella zampa una pietra e la picchiò su di un’altra frantumandole, lo spettacolo meraviglioso sbigottì l’animale che espresse la sorpresa emettendo un primordiale “hu”, avvenne quindi che l’essere unico, inconsapevole, in perenne mutazione senza diventare altro da sè, si scisse e l’uno divenne due, da una parte il tutto, dall’altra un primate che, forse un poco spaventato, si interroga su chi avesse pronunciato il misterioso fonema e su cosa mai ciò significasse. Quanti millenni trascorsero nell’eco di quell’ “hu”, il primate lentamente scoprì che quel suono lo aveva emesso lui stesso e questo gli insegnò che lui non era indistinto, lui era quello capace di stupirsi e dire “hu”. Molto probabilmente la riterazione del suono venne colta, chissà quanto tempo dopo, da un altro primate che, mi piace supporre, era di sesso opposto, a fondazione dell’eterna difficoltà di comunicazione tra i sessi, tradusse il termine collegandolo non con l’emozione del primo (maschio o femmina poco importa) ma con la causa fenomenica dello stupore, pertanto il suono “hu” per il secondo significò impatto, oppure pietra, mentre per il primo il senso era quello della sorpresa, forse della paura, chissà.

I millenni che seguirono non si consumarono solo per sancire l’irreversibile incomunicabilità tra i sessi, ma fondarono un processo incredibile, cosa che sembra a noi elementare, ma che è assolutamente rivoluzionaria, mi riferisco alla possibilità di collegare una esperienza sensibile ad un suono che nulla ha a che fare con la stessa. Nacque così il linguaggio che, in un dinamico loop creativo in perenne espansione, determinava un fatto: “hu”, qualunque cosa indicasse, generava una frattura tra ciò che “hu” voleva rappresentare e tutto il resto che, all’istante, divenne “non hu”. Ma la magia non era solo in questa primordiale comparsa della parola: in quell’arcano istante in cui i due primati si guardavano negli occhi ripetendo l’elementare fonema, scoprirono di essere altro da tutti gli altri primati, chissà, forse si emozionarono, forse ebbero paura, si sentirono improvvisamente soli e poi, appena un respiro più oltre, scoprirono di essere in due e quell’ “hu” ripetuto guardandosi negli occhi acquisì tutto un altro significato….

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì: clicca qui per leggere tutti gli articoli

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