Per un pensiero altro

La rinuncia alla propria singolarità

Per un Pensiero "Altro" è la rubrica filosofica di IVG: ogni mercoledì, partendo da frasi e citazioni, tracce per "itinerari alternativi"

Per un Pensiero Altro

Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista?
Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero.

“La maggior parte degli uomini non ha paura di avere un’opinione errata, ma di averne una da soli” afferma Soren Aabye Kierkegaard più di un secolo e mezzo or sono rappresentando con sorprendente preveggenza la normalità dell’umanità che vive nel terzo millennio. Gli storici oramai unanimemente riconoscono nell’incipit del ventesimo secolo una vertiginosa accelerazione di quel processo che i sociologi definiscono col termine massificazione. In verità il lento e capillare incedere della cultura omologante è assai antico, ma è indubbio che l’irrompere del numero, del popolo, nella storia, con un annuncio epigrammatico nella rivoluzione francese, ha subito un repentino sviluppo in parallelo con l’effetto omologante della seconda rivoluzione industriale.

La centralità della produzione a catena nelle dinamiche del lavoro ha cancellato progressivamente, con lo sradicamento dalle campagne e dalle origini culturali di enormi masse di persone, la particolarità peculiare della specificità agraria, determinata da scarsi contatti tra le diverse zone produttive e da specialistiche competenze di coltivazione con le conseguenti originalità valoiale, nel lessico, nell’abbigliamento, nell’alimentazione, nelle relazioni interpersonali e così via. Ma la comparsa sempre più capillare prima della radio, in seguito della tevisione e infine, con tempi sempre più brevi, di internet, cellulari e, in generale, della “rete”, ha contribuito ad espandere il fenomeno peculiarmente economico della globalizzazione in un ambito più ampio ed antropologico rendendo l’uomo, già marxianamente mercificato nel processo produttivo, anche omologo in ogni angolo del pianeta.

Il problema rimane sempre quello paradossale ed antico di chi sia nato prima tra l’uovo e la gallina, forma popolare del dilemma più elevato che si interroga intorno all’ordine temporale dell’essere e dell’io sono, ma di questo ci occuperemo in un altro momento, torniamo al quesito in oggetto. Potremmo esplicitare l’interrogativo più generale nella seguente formulazione più chiarificante rispetto alla questione: l’omologazione è l’effetto dell’incapacità del singolo di porsi come tale, della paura di non essere accettati, adeguati, funzionali, in sintesi, il terrore di assumersi la responsabilità di divenire se stessi, oppure è la causa dell’abdicazione odierna alla possibilità-diritto di scegliersi, sbagliare, autodeterminarsi nella propria magmatica singolarità? È mai possibile che abbia ragione il filosofo danese? Davvero l’essere umano non si chiede se la sua opinione è errata, davvero gli basta che sia condivisa da tanti così da non esserne responsabile? Davvero il pensiero dominante di volta in volta cresce come una valanga nella quale annichilisce il principio fondamentale della singolarità in nome di una malcompresa democraticità? Il numero può mai sostituire la meravigliosa assunzione di responsabilità del singolo? Oppure, molto più tristemente, sono così poche le idee che è più facile prenderne in prestito alcune che gironzolano in solitudine, il più delle volte quelle più semplicistiche, più slogan che idee, facili da memorizzare e, dopo averle ripetute come un mantra, guardarsi intorno per trovare chi recita la medesima cantilena che, in quel caso, diviene una terribile canzone: l’inno dell’imbedille?

Purtroppo a chiunque, credo, sarà capitato di incontrare presunzione di singolarità in caricature di vario genere: chi si sente diverso per come si veste, per la musica che ascolta, per il tatuagio dilagante su tutto il corpo, per un piercing mastodontico al capezzolo sinistro, senza comprendere che il disperato bisogno di manifestare la propria particolarità è uno degli elementi più omologanti della nostra cultura, specie se è il sistema a suggerirti i modi della tua alternità.

Non sei te stesso nella manifestazione plateale di un immagine di te, ma nella profondità della tua privata eccezionalità, in quel frastornante silenzio che faceva sperare il nostro Kierkegaard di poter collocare come epitaffio sulla propria lapide la meravigliosa epigrafe: “Quel singolo”.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì: clicca qui per leggere tutti gli articoli

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