Savona. Un lunghissimo faccia a faccia col pm, durato più di tre ore, per respingere punto su punto le accuse. E’ quello andato in scena ieri pomeriggio, nel carcere di Genova Marassi tra il sostituto procuratore Giovanni Battista Ferro ed l’ex vice prefetto di Savona Andrea Giangrasso, arrestato lo scorso 6 novembre nell’ambito di un’indagine dei carabinieri sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dopo che la scorsa settimana si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip Fiorenza Giorgi, come aveva preannunciato il suo legale, l’ex funzionario della Prefettura ha chiesto di essere ascoltato dal pubblico ministero.
Secondo quanto trapelato, Giangrasso ha negato con decisione le contestazioni che gli sono state mosse, in particolare di aver “orchestrato” il sistema per ottenere permessi di soggiorno “facili”. Il funzionario avrebbe quindi fornito una sua spiegazione su tutti gli aspetti della vicenda.
Proprio alla luce dell’interrogatorio reso ieri, oggi il legale dell’ex vice prefetto, l’avvocato Dominique Bonagura, ha depositato un’istanza di riesame della misura cautelare per ottenere una revoca oppure un’attenuazione della stessa (dal momento dell’arresto, infatti, Giangrasso è sempre rimasto detenuto in carcere a Marassi). La richiesta sarà discussa davanti ai giudici genovesi presumibilmente la prossima settimana.
L’ex vice prefetto deve rispondere delle accuse di favoreggiamento della permanenza di immigrati clandestini nel territorio italiano, falso ideologico per induzione e falso materiale. L’arresto era scattato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Fiorenza Giorgi.
Contestualmente all’esecuzione della misura, i militari avevano svolto una serie di perquisizioni tra cui quelle nelle abitazioni del funzionario, due a Savona e una a Cairo. Proprio nella casa in Valbormida erano stati trovati due timbri (uno circolare in gomma e uno lineare) riconducibili agli uffici della Prefettura e numerose pratiche relative a cittadini stranieri da lui trattate, ma anche alcuni oggetti riconducibili a regali ricevuti dall’ex funzionario – questa la tesi dell’accusa – in cambio di favori.
Secondo la ricostruzione dei militari, Giangrasso era un punto di riferimento per un cittadino egiziano, Ibrahim Bedir, già arrestato nel marzo scorso, che aveva avviato un business legato ai permessi di soggiorno “facili” per stranieri: in cambio di ingenti somme di denaro (si parla di cifre dai 4 ai 10 mila euro) faceva arrivare in Italia cittadini extracomunitari grazie alla promessa di un’assunzione stagionale che però, in realtà, era fittizia. Una volta entrati in Italia, infatti, gli immigrati non venivano assunti e, di fatto, diventavano clandestini. Ma Giangrasso e Bedir, sempre per quanto emerso nelle indagini, avrebbero anche studiato un modo per “sanare” le posizioni degli stranieri grazie a certificati medici falsi.
In cambio del suo aiuto, Giangrasso avrebbe ricevuto vari regali come biglietti per le partite della Juventus, gioielli, apparecchi elettronici, creme e lavori di manutenzione nella sua casa.
Oltre all’ex vice prefetto, con le stesse accuse, in concorso ed a vario titolo, sono indagate a piede libero altre cinque persone: un medico di Savona, P.R. (48 anni, che ha firmato i certificati medici falsi), un consulente finalese, M.R. (35 anni, che avrebbe fatto da intermediario per portare le pratiche in Questura), un albergatore di Pietra Ligure, M.A., (il datore di lavoro che aveva promesso un lavoro stagionale ad alcuni degli stranieri coinvolti in questa vicenda), un egiziano residente a Savona, M.S. (che sarebbe stato un intermediario della mente del business), e appunto Ibrahim Bedir (già arrestato a marzo scorso e ora ai domiciliari), che secondo gli investigatori era la “mente” del giro di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
E’ stato appunto dopo gli interrogatori successivi all’esecuzione delle ordinanze cautelari del marzo scorso che gli inquirenti hanno capito che Giangrasso potesse avere un ruolo nella vicenda e hanno svolto ulteriori accertamenti. Grazie alle ulteriori indagini sarebbe emerso quindi che il rilascio dei permessi di soggiorno per attività stagionale fosse seguito da un funzionario “di fiducia”, che si occupava anche di parlare o di dare consigli su come rapportarsi con gli uffici preposti al rilascio dei permessi di lavoro (risultati estranei a tutto il meccanismo), ovvero la Questura e la direzione territoriale del lavoro.