L'analisi

Emissioni della centrale e 427 morti? Non c’è certezza del nesso causale: ecco perché l’accusa di omicidio colposo è caduta

Il pm Carusi ha disposto accurati supplementi d'indagine che però non hanno confermato l'ipotesi d'accusa

tirreno power

Vado Ligure. Leggendo il provvedimento con il quale il gip Francesco Meloni – in poco più di una pagina – ha definitivamente archiviato l’inchiesta per omicidio colposo relativa alla centrale Tirreno Power sono sostanzialmente tre i concetti che emergono e che spiegano perché si è conclusa così: non c’è certezza della connessione tra le emissioni della centrale con un aumento della mortalità come rilevato nell’indagine epidemiologica dei consulenti della Procura; non è stato possibile individuare un “paziente zero” (ovvero qualcuno qualcuno che sia identificabile come un malato per colpa dell’attività di Tirreno Power a Vado); non è stata ravvisata nessuna patologia prevalente nei dipendenti del sito vadese.

L’archiviazione, firmata dal gip su richiesta del pm Vincenzo Carusi, ha fatto cadere la grave ipotesi d’accusa che era stata contestata a 42 persone tra cui gli ex sindaci di Vado e Quiliano Carlo Giacobbe e Nicola Isetta e diversi manager dell’azienda.

Prima di arrivare a questo epilogo il sostituto procuratore Carusi, che ha “ereditato” l’inchiesta dall’ex procuratore Granero e dalla collega Paolucci, ha anche disposto alcuni supplementi d’indagine per individuare possibili elementi probatori utili a sostenere la tesi della Procura.

In dettaglio ha firmato una delega di indagine al Dipartimento di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro dell’Asl 2 Savonese per chiarire se ci fossero potenziali persone offese proprio tra i lavoratori della centrale che erano esposti alle emissioni, in particolare tra quelli addetti al parco carbone. La conclusione dell’accertamento ha dato però esito negativo visto che, sulla base dei dati complessivamente disponibili, dallo Psal hanno concluso affermando che “al momento non sembrano emergere evidenze epidemiologiche di un aumento significativo di tecnopatie”.

Il pm ha anche conferito l’incarico per due nuovi accertamenti tecnici a due medici legali. Nello specifico ha chiesto al dottor Roberto Testi di verificare sulla base dei dati epidemiologici a disposizione e delle schede di dimissione ospedaliera dei pazienti, vagliate dal professor Crosignani in sede di consulenza epidemiologica, se fosse possibile attribuire un’identità specifica ai deceduti quantificati dal perito epidemiologico (nel capo d’imputazione si parlava di un numero non inferiore a 427 morti).

Al dottor Alessandro Bonsignore è stato affidato un quesito analogo da soddisfare attraverso l’analisi di tre casi specifici, ovvero quelli portati alla luce dai parenti di due persone morte e da una malata di tumore, che avevano anche chiesto di costituirsi parte civile al processo per disastro ambientale colposo (senza successo).

Entrambi, sostanzialmente, hanno concluso che non è possibile rilevare un nesso causale – necessario per sostenere l’accusa in un processo – tra le emissioni e i danni per la salute. Il dottor Roberto Testi specifica infatti che “il nesso di causalità tra l’esposizione ambientale ai metalli ed al biossido di zolfo per ciascuno dei soggetti individuati in tale consulenza non è affermabile in termini di certezza o elevata probabilità logica come richiesta in ambito penale”.

“Non appare in alcun modo possibile sostenere, secondo i noti criteri di ordine sia penalistico che civilistico, una correlazione causale tra le emissioni in atmosfera prodotte ed accertate dalla centrale termoelettrica di Vado Ligure e la comparsa delle patologia neoplastiche dei tre pazienti” è invece la conclusione del medico Bonsignore.

Inoltre, nella relazione consegnata al pm, il consulente specifica anche che “i soggetti in questione non erano lavoratori dipendenti della centrale di Vado. Benché fossero residenti all’interno dell’area di ricaduta delle emissioni prodotte dall’impianto, si presume una certa diluizione di tali elementi in ambiente atmosferico progressivamente maggiore in funzione della distanza dalla centrale. Si ipotizza pertanto un’esposizione minimale ed inequivocabilmente inferiore rispetto a quella a cui sono stati sottoposti i lavoratori dipendenti della centrale stessa”. Considerando che però, secondo quanto accertato dall’indagine dello Psal, tra i lavoratori non c’era un incremento di patologie riconducibili alle emissioni della centrale, è facile intuire su che basi si fonda la richiesta di archiviazione firmata nel giugno scorso dal pm Carusi. Una richiesta che è stata accolta dal gip Meloni lo scorso 27 ottobre. Una data che, a suo modo, resterà storica perché ha scritto la parola fine ad un’indagine che, per diversi motivi, è destinata a segnare la storia del comprensorio vadese e savonese.

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