Vialogando

Da Batumi a Tbilisi: ciao Georgia! fotogallery

"Vialogando on the road" è il diario di Luca, che con Giacomo affronta il Mongol Rally: 18 paesi dall'Europa alla Siberia su una Suzuki del 1989

Vialogando On The Road

“Vialogando on the road” è il diario di viaggio del savonese Luca Negro che, con il friulano Giacomo Iachia, su un vecchio piccolo scomodo fuoristrada di quasi 30 anni battezzato “Pulce” partecipa a scopo benefico al Mongol Rally 2018. Il progetto è reso possibile grazie al contributo della Coop Augusto Bazzino di Savona: “In quest’epoca di rapidi cambiamenti ci apriremo insieme verso il mondo arricchendoci di nuovi orizzonti, in controtendenza verso la paura e la chiusura su ciò che ci è distante e diverso”.
Dall’Europa alla volta della Siberia, un ponte immaginario tra occidente e oriente attraverso 18 paesi: una lunga odissea da Savona fino ad Ulan Ude, nella Siberia Meridionale, poco sopra la Mongolia. In questa rubrica Luca proverà a raccontare, attraverso la sua personale sensibilità, gli orizzonti che supererà durante questo movimentato e intenso percorso. Vialogando “travelling stories” è invece il “main project” ideato da Giacomo e si potrà seguire l’avventura scritta e documentata insieme sul sito ufficiale www.vialogando.it e su Facebook.

Georgia

Batumi
La città sta crescendo e sembra voler fare l’occhiolino a qualcuna nel golfo persico. Edifici di 50 piani stanno nascendo, tra qualche anno questo posto sarà famoso, anche in Europa, il ‘gambling’ cioè il gioco d’azzardo è fonte di questa ricchezza. La lunga passeggiata di 6 km è molto interessante e la statua Ali e Nino diventa per me il fulcro ricercato di questo luogo, la storia classica della letteratura caucasica è molto triste, ma le statue in movimento che li rappresentano sono capaci di creare una forte emozione, lentamente le due figure si baciano e si attraversano e pur senza mai davvero toccarsi si completano come perfetta metafora dell’amore più puro.

La spiaggia ci richiama svegliati finalmente tardi, però è solo di ciottoli e l’acqua di questo Mar Nero sembra solo uno scherzo se paragonato al blu del nostro mare.

Salendo sulle per le montagne la strada si fa dura e per la prima volta per davvero ci sentiamo a fare il rally, saliamo fino ai 2025 metri del passo. Riempiamo lo stomaco con un denso formaggio mescolato all’uovo da mangiare col pane, intorno case di legno con tetto di latta, bambini che vendono caramelle artigianali a chi è di passaggio qui è davvero molto bello. Scendendo mi rendo conto che è come da noi quando ero bambino nelle belle valli piemontesi, i georgiani si fermano ai bordi delle strade sui prati verdi e fanno picnic, passeggiate apprezzando i loro bei posti, con gran semplicità senza ancora standardizzarli al turismo di massa (anche se ho visto ecomostri per futuri impianti sciistici e grandi alberghi salendo).

Poi dopo mille dossi e buche arriviamo alla cittadina con la fortezza ricostruita che è molto turistica e non l’apprezzo per davvero, a 12 km da li monastero dei monaci ortodossi di Sumela invece mi ha davvero stregato, credo che sia la sensazione che più mi ha colpito nel viaggio fino ad ora.

Le barbe lunghe e austere dei monaci, le loro letture sono come un mantra con la stessa tonalità penetrante, anche se non si conosce la lingua riescono a smuovermi dentro, le iconografie ortodosse completano una sensazione che sfiora il misticismo, in particolare l’icona di Gesù sulla cupola lassù in alto mi cattura lo sguardo fino a rendere l’uscita faticosa. Mi colpisce però un fatto è davvero necessaria tutta questa severità sui volti dei monaci?

Uscito fuori dal monastero mi siedo sulla panchina rivolta verso la profonda vallata tra due grandi alberi, i compagni di viaggio sono già lì seduti da un po’, mi siedo più a destra e allungo la mano fino a raggiungere l’albero al mio fianco, poi guardo tra le fronde verso la vallata. Improvvisamente una forte inspiegabile energia mi attraversa, riconosco che in quello stesso luogo qualcosa di veramente forte e importante è successo, un qualcosa difficile da spiegare con le parole, ma percepibile senza dubbio alcuno. Mi immagino secoli fa … un monaco … una specie di illuminazione… qualcosa che sfugge la logica terrena. Un dono!

Improvvisamente mi alzo dichiarando: “questo posto ha un energia pazzesca” mi allontano leggermente tramortito, gironzolo fino ad un giardino dove in lontananza vedo un monaco usare un telefono cellulare.

Rientro nel monastero a guardare in alto a scattare una foto ‘proibita’, un altro monaco con cura e devozione accende le candele sistemate sotto le icone. Esco nuovamente a sedermi sulla panchina, stavolta solo … subito nulla … ma rimettendomi sulla destra vicino all’albero nuovamente riconosco e ritrovo la stessa sensazione precedente, chiudo gli occhi e mi abbandono, il vento mi accarezza tutto intorno, come se sfiorasse la mia aurea. Ripeto ancora la stessa cosa un’altra volta, sguardo all’icona sulla cupola e poi seduto sulla panchina esterna. Vorrei avere mille volte più tempo e non dover andare via.

La notte ci fermiamo a pochi km da Vardzia in un casa rurale ma con ottime camere per gli ospiti, una genuina famiglia ci prepara pomodori, cetrioli, spinaci e formaggio e pane come cena, non c’è dubbio che il destino ce li ha messi davanti dopo tanta carne e impasti pieno di burro e uova. Ne avevamo davvero bisogno.

Alla mattina Stefano non sta bene e così si riposa, con Giacomo visitiamo le caverne di Vardzia, davvero magnifiche e unico il monastero al suo interno. Sentieri scavati nella montagna a collegare le varie antiche abitazioni dentro la roccia, quasi come le talpe, il sole è così forte e caldo da lasciarti tramortito.
Prima di lasciare la zona scopriamo un’altro monastero stavolta attivo e meno turistico sulla collina opposta, altre grotte sparse lassù sembrano troppo distanti per raggiungerle in poco tempo. Solo uno sguardo veloce dentro una di esse ci ha svelato una tavola con fresche verdure per il pranzo dei monaci del luogo.

La Georgia cambia faccia. Fuori dalla città di Akhalkahki, dopo un paesaggio post guerra, una modernissima stazione dei treni appare in mezzo al nulla di un vasto altipiano, per qualche motivo qui hanno deciso che è necessaria, decine di binari si stringono fino a diventare uno solo che poi sparisce. L’aria si fa più fresca, appaiono i laghi e la vita che scorre ferma nel tempo ai loro bordi, cavalli che trainano l’aratro e la gente raccoglie il fieno che ammassa in covoni ordinati, basta un cenno della mano per scatenare un sorriso, un saluto gioioso, il letame viene seccato e conservato in mattoni con si costruiscono muretti per un suo uso futuro: combustibile per l’inverno.
Le montagne scorrono lente finché poi cominciano a scendere, ci rendiamo conto che quell’altopiano era anche oltre i 2000 metri, l’aria cambia e così ancora una volta il paesaggio.
La Georgia è bellissima, vorrei salire sul grande Caucaso e vederla ancora meglio, ma il nostro percorso non ce lo permette, ma davvero questo è uno di quei paesi che davvero merita una visita o magari un ritorno.

Tbilisi
L’arrivo con le strade orrende e piene di buche si trasforma in meglio, la periferia è brutta, ma il centro invece risulta molto più bello delle aspettative e ricco di particolari interessanti.
Scelgo personalmente una guesthouse molto economica, Stefano che è stato male preferisce un hotel vicino è la sua ultima notte e ci sta. Giacomo invece mi segue. La signora Dodos è affabile, genuina, 80 anni un po’ svampita ma molto luminosa, un buon cuore, sento una forte sinergia con lei e sono davvero contento di sto posto, un dormitorio di 7 letti ma siamo solo in tre, io il compagno e un francese sui 60 che russa la notte e canta la mattina.
La sera dopo una lunga camminata in centro, seguendo il percorso di Jack, stanchi mangiamo quasi alle 11. Esausti, le parole e il progetto come vuol continuare a volerlo a tutti i costi sostenere lui si fa sempre più pesante e inattuabile secondo in mio senso di necessaria libertà in cui credo e per cui viaggio.
Le parole non portano a niente anzi, ci si scalda troppo fino a che si raggiunge un punto di rottura non eccessivo ma chiarissimo a sottolineare che ormai il limite è stato raggiunto.
La notte in solitaria mi spingo fuori dalle strade battute e mi sento piacevolmente vivo a percorrere i miei passi senza avere nessuna paura.

La mattina ci proviamo a chiarire e ci stringiamo in un volenteroso tentativo di trovare una soluzione.
Incontriamo poi il regista georgiano Vahktang Kuntzev Gabashvili pluripremiato nei vari festival cinematografici dei paesi confinanti, un piacevolissimo incontro che abbiamo correttamente documentato.
A pranzo perso dentro il caldo cittadino mi accorgo che la fotocamera reflex ha dei problemi e non posso usarla, fino ad abbandonarmi. Un duro colpo che non mi aspetto!

Il lato più vero.
Mi è successo di guastare in modo grave la fotocamera professionale con cui viaggio, il corpo macchina e out e le tre ottiche inutilizzabili. Probabilmente i colpi ricevuti nelle buche delle strade georgiane di montagna l’hanno messa K.O.
Cerco subito un centro Canon che possa aiutarmi in qualche modo ora che sono ancora in città, così scopro luoghi fuori dal turismo dove la realtà della vita è più vera senza nascondersi. Prima un quartiere intorno alle università, trafficato e con grandi edifici più o meno popolari, poi sentendomi dire che dovrei aspettare fino a lunedì seguo il suggerimento di provare ad affidarmi a qualche centro non ufficiale nella zona della stazione.
Prendo quindi ancora la metropolitana e raggiungo la stazione centrale, nei dintorni un mondo molto più povero, a tratti disperato, mendicanti e persone che sembrano abbandonate al loro destino di arrivare alla fine della giornata sono la vera parte di questa zona della città. Nessun turista apparente, un lungo ponte attraversa i binari, è pieno di piccoli micro negozi che vendono di tutto, ma soprattutto indumenti di bassissima qualità, dall’altro lato edifici rovinati e scadenti, botteghe di fruttivendoli troppo attaccate miste a prodotti elettronici e riparatori di telefonini, blocchi giganti di questi venditori sono raggruppati in aree in cui sembra facile perdersi, mi muovo dentro esse come una formica tra le altre finché non trovo quello che cerco, un negozio più grande degli altri con tante fotocamere e obiettivi usati in vetrina, espongo il mio problema, una stentata comunicazione e tiro fuori la reflex:”ci vogliono 3-4 giorni per ripararla o per provare a farlo” me ne vado sconsolato domani si riparte e il tempo non c’è.
Provo a non rinunciare subito ma in nessun altro dei piccoli negozietti, trovo qualcuno che parli un minimo di inglese.
La sera Stefano parte e arriva Alice fotografa romana, sarà nostra compagna fino alla fine dell’Iran.
Scopriamo a pochi passi da casa ‘Fabrica’ un luogo di giovani molto bello e moderno,che potrebbe essere qualsiasi altro luogo in ogni parte del mondo occidentale, poi una via mega turistica a poche centinaia di metri che non ci aspettavamo affatto.

La signora Dodos la sera quando le dico che le saldo il conto mi risponde che lo potrò fare domani e che lei si alza presto e che i soldi non contano e aggiunge un gesto con le mani come a dire che volano via e non sono niente che importa davvero. Le mele regalate, la sua gentilezza, trasparenza ed energia, le voglio bene e voglio a tutti i costi una foto con lei, non la potrò dimenticare una persona così lo so per certo.

Ciao Georgia!

“Vialogando On The Road” è il diario in cui Luca Negro racconta il suo Mongol Rally, da Savona alla Siberia: clicca qui per leggere tutti gli articoli

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