A caro prezzo

Mille euro di multa per aver sbagliato libretto degli assegni: l’odissea di Paola, sulla “lista nera” per un errore

"Sono cliente da 20 anni - racconta - e mi hanno trattata come una truffatrice per una semplice disattenzione"

Savona. Deve pagare l’idraulico, 60 euro, ma non li ha in casa. Così prende il libretto degli assegni dal cassetto, e ne compila uno. Un mese dopo scopre che quell’assegno è stato respinto, che lei è reputata una “cattiva pagatrice” (o peggio, una truffatrice), che è stata inserita sulla “lista nera” delle banche e riceve una multa di oltre mille euro. E tutto per aver inavvertitamente “pescato” il libretto sbagliato.

E’ la disavventura capitata a Paola Pagano, savonese di 42 anni che ora spera nel Giudice di Pace per poter dimostrare almeno la sua buona fede. “So che formalmente sono in torto, e non discuto – ammette – ma mi sento trattata alla stregua di un’imbrogliona. Per 60 euro mi sembra un po’ eccessivo. Sarebbe bastato un po’ di buonsenso da parte dell’ufficio postale di cui ero correntista”. Già, ma qual è la colpa di Paola? Aver utilizzato un libretto riferito a un conto ormai chiuso anzichè quello legato al conto attivo.

Una rapida ricostruzione. Paola, cliente di Poste Italiane da oltre 20 anni, nel 2013 chiude il conto corrente perché decide di aprirne un altro ex novo (sempre nella stessa filiale) cointestato con il marito. Al momento della chiusura non trova il libretto degli assegni (mai usato) e, su indicazione dell’ufficio postale, dichiara di averlo smarrito. All’apertura del nuovo conto riceve un nuovo libretto degli assegni, visivamente identico a quello vecchio.

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Salto in avanti di 4 anni, al gennaio 2017 e al “fatale” intervento dell’idraulico. Paola gli deve 60 euro e decide di utilizzare un assegno: quelli del nuovo libretto ricevuto nel 2013, però, sono terminati. In un altro cassetto, tuttavia, c’è un libretto identico e Paola, colpevolmente, non lo “ricollega” a quello perso quattro anni prima. Così stacca un assegno e lo consegna all’idraulico.

Ne viene fuori un’odissea. Dopo un mese il professionista la contatta spiegando che il titolo di pagamento è stato respinto: lei lo salda subito in contanti e va in posta per approfondire. Scopre così l’errore, ma scopre anche di essere stata “inibita” per sei mesi dall’emissione di nuovi assegni. La vicedirettrice le spiega che è una procedura di legge. Paola teme anche una multa, che puntualmente arriva: l’importo è da capogiro, 1032 euro più 12 euro di notifica.

Lei tenta di difendersi con una memoria difensiva: per discuterla fissa un appuntamento con il viceprefetto, ma al suo arrivo il funzionario non c’è e così Paola spiega le sue ragioni a una dirigente. Nulla da fare: lo Stato le riconosce l’assenza di dolo ma le contesta la negligenza, e la memoria difensiva a ottobre viene respinta. Con tanto di beffa: un ulteriore divieto di emettere assegni per altri due anni.

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Ora l’ultimo tentativo, presso il Giudice di Pace, per tentare di convincere almeno lui che quella sanzione è sproporzionata alla colpa. “Quello che mi amareggia di più – commenta Paola – è il fatto che sarebbe bastata una telefonata. La mancanza di malafede è evidente: parliamo di un libretto identico, di 60 euro e di una persona che ha immediatamente saldato il suo debito appena ha scoperto l’errore. Eppure l’ufficio postale ha preferito comunque avviare la trafila legale come se io fossi una truffatrice“. Anche se Paola è disoccupata da due anni e mezzo, anche se la possibilità di chiudere la questione con un semplice avvertimento le è stata confermata come procedura usuale, in casi simili, da diverse banche che ha contattato in seguito.

D’altronde la legge, si sa, non ammette ignoranza: “Ripeto, sono conscia di aver sbagliato – ammette – ma a volte alle norme andrebbe affiancato il buonsenso. Una questione che si sarebbe potuta chiudere con un avvertimento ora mi perseguita da un anno. E’ paradossale, quando poi ci sono politici che fanno ‘spese pazze’ per decine di migliaia di euro; ed è ancora più assurdo se pensiamo che su questo esistono precedenti di sentenze in cui i politici sono stati prosciolti perchè hanno ammesso di fatto di ignorare la legge che avevano violato…”.

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