Il sospetto

Altare, lavoratori Asset in sciopero. E un imprenditore smentisce l’azienda: “Un sito adatto c’è, lo darei gratis”

L'azienda ha parlato di necessità logistiche impossibili da soddisfare nel savonese, i lavoratori e il Comune sospettano invece una scelta "di comodo"

Altare. “Un epilogo che cercheremo di scongiurare in tutti i modi”. Non lascia spazio alla trattativa Andrea Mandraccia, segretario provinciale della Fiom Cgil, mentre accanto a lui sfilano i lavoratori di Asset: la decisione dell’azienda di delocalizzare in Lombardia sarà osteggiata in ogni modo possibile.

Per mattina, infatti, la direzione di Asset Water Technology ha inviato formale comunicazione di apertura della procedura di trasferimento collettivo dei lavoratori impiegati presso l’unità produttiva di Altare. Il nuovo stabilimento sorgerà ad Assago Seprio, in provincia di Varese: a partire da giugno al personale verrà comunicato formalmente il trasferimento che, se non accettato, comporterà il licenziamento. La Brita (azienda tedesca che controlla Asset) ha motivato la propria scelta con considerazioni prettamente logistiche: secondo il management non è stato possibile individuare sul territorio savonese un nuovo sito adatto a far fronte alle esigenze sempre crescenti della produzione (leggi l’articolo).

Lo stabilimento di Altare verrà dunque chiuso entro la fine di dicembre, quando la produzione sarà trasferita in provincia di Varese. E questo nonostante i vantaggi che l’area di crisi complessa nel savonese garantirebbe all’azienda. “Un epilogo che noi avevamo purtroppo preventivato da tempo – commenta amaro Mandraccia – C’è dal nostro punto di vista la volontà del management aziendale, di concerto con il gruppo Brita, di trasferire la produzione comunque, senza verificare le condizioni per reinsediare la nuova unità produttiva di Asset sul territorio. Ancora ieri abbiamo avuto contatti con persone che erano in trattativa con Asset in Valbormida, a Dego, che avevano messo a disposizione delle aree per realizzare l’investimento. Noi abbiamo riscontrato una mancanza di solerzia da parte del management per trovare soluzioni per evitare la delocalizzazione”.

Asset Altare, lo sciopero dei lavoratori

Il riferimento è a un grosso capannone di 5500 mq di proprietà della famiglia Rapetti. E’ stato proprio l’imprenditore, Fabio Rapetti, a rivelare ieri sui social network l’esistenza della trattativa: “Mi scuso per non essere intervenuto prima – ha spiegato – Da mesi sono in trattativa per l’affitto di un capannone sito in Dego con la dirigenza Brita. L’area è di nuova realizzazione e totalmente confacente alle loro richieste, tanto è vero che eravamo disposti a modifiche come realizzazione di sala mensa e accettando senza discutere tutte le modifiche onerose richieste. Pertanto non è vero che in Val Bormida non esiste un’area adeguata. Mi spiace molto per i lavoratori e per non essere intervenuto prima. Da parte mia sono disponibile a concedere l’area di mia competenza a titolo gratuito per il primo anno di affitto per cercare di recuperare la situazione. Un abbraccio a tutte le famiglie di lavoratori toccati da questa vicenda”.

Il sito, insomma, ci sarebbe, e con caratteristiche adeguate: superficie superiore di 500 mq a quanto richiesto, altezza di 10 metri, e adesso anche la gratuità per un anno. Nonostante questo l’azienda, spiega Rapetti, dopo aver intavolato la trattativa non ha mai risposto, con l’imprenditore che nel frattempo ha rinunciato anche ad altre offerte. Tra i lavoratori in corteo serpeggia un sospetto: che la volontà di delocalizzare possa essere in qualche modo accentuata anche dalla vicinanza del nuovo sito individuato alla residenza dell’amministratore delegato del gruppo (che vive proprio in provincia di Varese).

“A questo punto è abbastanza inutile che la dirigenza aziendale dica che non ci sono le condizioni ed è costretta ad andarsene – tuona Mandraccia – Il management vuole delocalizzare, e questo è quello che diremo anche domani quando incontreremo l’amministratore delegato alle 11.30”. L’amministrazione comunale, dal canto suo, ha espresso lo stesso sospetto: “Vi siamo vicini – ha detto il vice sindaco Luciano Grenno ai lavoratori – e ci siamo mobilitati anche con altre istituzioni come Provincia e Regione. Purtroppo abbiamo un soggetto che nascondendo comodità personali dietro ad alibi che ormai non sono più credibili non sembra intenzionato a fare marcia indietro“. “Il sito va inserito nel tavolo del Mise, visto che la produzione terminerà a dicembre – conclude Mandraccia – e dobbiamo far pressioni con le istituzioni locali per salvare i 41 posti di lavoro a tempo indeterminato, senza contare quelli interinali e dell’indotto”.

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