“Rosso Pistacchio” è la rubrica di Marzia, che ama definirsi “una truccatrice struccata”. Uno spazio al femminile dal taglio volutamente “leggero” in cui parlare a 360 gradi di tutto ciò che ruota intorno alle donne. In salsa savonese, naturalmente.
Per alcune settimane Rosso Pistacchio si tinge di “Giallo”, con una storia a puntate illustrata da Giusi Ghioldi… ecco la terza e ultima, buona lettura!

Al secondo piatto di cinghiale Bianca Bufi alzò finalmente lo sguardo:
“Il pane c’è?”.
Rimaneva quel sugo bruno odoroso di vino e spezie, coriandoli di carote, coraggiosi aghi di rosmarino resistenti alle mille ore di cottura, e un impertinente, solitario, chiodo di garofano.
“Bianca, tesoro, per essere una che ha appena visto una morta, devo dire che l’hai presa benissimo”.
La forchetta si fermò a mezz’aria per due secondi tra le mani di Bianca, e poi virò pericolosamente strada, puntando il viso del povero marito.
“Ma che ne sai tu, eh? Di quello che ho passato? Che ne sai? Io laggiù, in quella villa enorme a rischiare la vita, e tu qui, pacifico e in panciolle, a girar la zuppa come Little John in Robin Hood”.
“A parte queste reminescenze disneyane che tiri fuori solo per farmi sentire inadatto…”.
“Non è colpa mia se non hai avuto un’infanzia”.
“Ora che, forse, hai la pancia piena, puoi spiegarmi cosa è successo? Come è morta Margherita? E’ stato il dj, vero?”.
“Passami il vino che ti racconto”.
La sala intera era carica di dolore e sbigottimento: servitù, invitati, parenti si erano allontanati dal corpo di Margherita e le stavano attorno come ombre. Qualcuno la coprì con un lenzuolo di seta bianca, e quello fu il segnale che scatenò la rabbia feroce di Andrea, il dj asmatico.
Un istante prima era accanto a Bianca, privo di forze e di fiato, e un secondo dopo Bianca lo vide scagliarsi, come Achille in preda all’ira funesta, contro l’ormai vedovo di Margherita. Lo colpì al petto, gridando che era tutta colpa sua, che lui l’aveva uccisa, che l’aveva ammazzata.
Giacomo, il giovane vedovo era rimasto immobile, come reso di pietra da quell’abito nuziale diventato improvvisamente funebre. Andrea gli percuoteva il petto con i pugni stretti, gridando come un bambino chiuso in una caverna al buio. Lo sposo immobile lacrimava senza battere le palpebre, Bianca Bufi non riusciva a muovere un muscolo. Lo sposo inaspettatamente afferrò i pugni del povero Andrea e lo strinse forte a sé. Erano rimasti lì come due bambini ai quali era morta la mamma: abbracciati e rabbiosi, fino a che la polizia non aveva diviso tutti i presenti in piccoli gruppetti, in attesa di presentare i documenti ed essere identificati.
Bianca Bufi era finita nella stanza degli ospiti insieme alla parrucchiera e a qualche altra aiutante.
“Ti ho disegnata”.
“Cosa?”.
“Mentre la truccavi. Ti ho disegnata”.
Sembrava una ragazzina e, invece, a guardarla meglio, lo sguardo era di un’adulta. Solo quello, però, tutto il resto non rivelava la reale età della donna che le stava parlando.
“Eri nella stanza, è vero!”. Bianca avrebbe voluto darsi una botta in testa per non essersi ricordata della presenza di quella piccola donna dalle mani sporche di colore e gli occhi sbarrati. Era stata nella stanza con lei e Margherita, per tutto il tempo del trucco, silenziosa e immersa nel suo album da disegno.
“Scusami, quando trucco non vedo altro intorno a me”.
“Stai tranquilla, lo stesso è per me quando disegno”.
Egle, le spiegò, era una lontana cugina di Margherita, facente parte del ramo sfortunato della famiglia, quello povero in canna.
“Mia madre mi ha mandato a presenziare al matrimonio a nome della famiglia. Margherita ed io eravamo molto legate da piccine, poi qualcosa è cambiato. I giochi che facevamo assieme le parevano sciocchi, i miei abiti volgari, il cibo che mia madre preparava orribile. Margherita era una creatura diversa da noi, eterea, superiore, tormentata. Gli uomini la adoravano, morivano per lei ma a lei di loro non importava nulla. Poi un giorno si innamorò di Giacomo, Giacomo che la voleva perfetta, Giacomo che la voleva bionda e Giacomo che la voleva leggera come un fenicottero”.
Egle parlava e parlava, non usava punteggiatura né pause, come se avesse tolto il coperchio ad una pentola che necessitava di strabordare.
“Sono qui da tre giorni. Per farle compagnia, perchè Margherita non aveva molte amiche. Nel mondo della moda sono tutte arpie e lei era troppo fragile. In tre giorni non l’ho mai vista sorridere. Non l’ho mai vista piangere. Non l’ho mai vista mangiare. Due volte al giorno col metro da sarta si misurava tutto il corpo e scuoteva la testa. A tavola sminuzzava il cibo, lo sezionava ma non ingoiava mai nulla. Parlava poco, anche con me. Allora io disegnavo per passare il tempo. Ho disegnato tutto. Anche te. E lei. E il cotone. Tanto cotone. E quella abitudine che tutti conoscevano ma non osano nominare. Nemmeno io”.
Bianca Bufi raschiò il fondo della pentola in cerca di un ultimo cucchiaio di sugo.
“E quindi???” il povero marito pendeva dalle labbra unte di sugo della ingorda moglie.
“La polizia ci ha mandato a casa. Nella tasca del mio impermeabile c’è il disegno di Egle che spiega tutto, se vuoi vederlo”.
“Certo che voglio vederlo! Ma il dj? E il marito? E Egle, perché non ha soccorso la cugina?”.
“Lo ha fatto. Ha chiamato lei i soccorsi”.
“Non capisco”.
“Tesoro, sai che ti dico?”.
“Dimmi, Bianca”.
“Ho ancora fame”.

“Rosso Pistacchio” è la rubrica al femminile di IVG, ogni martedì a cura di Marzia Pistacchio: clicca qui per leggere tutti gli articoli