Retroscena

Processo “Bonello”, la difesa: “Il testamento conferma che la dottoressa si fidava di Bonvicini”

L'avvocato Barghini durante l'udienza preliminare ha fatto riferimento alle volontà della "pasionaria" impegnata nella lotta alla pedofilia

bonvicini barghini

Savona. Se mi succede qualcosa voglio che sia Bonvicini ad indagare. Sarebbe questa la volontà che Luisa Bonello aveva affidato al suo testamento, redatto diversi mesi prima della sua morte. Il particolare è emerso ieri durante l’udienza preliminare nella quale Alberto Bonvicini, l’ex comandante della polizia postale di Savona (oggi sospeso dal servizio), è stato rinviato a giudizio con le accuse di omicidio colposo, circonvenzione di incapace, truffa e falso.

E’ stato il difensore di Bonvicini, l’avvocato Cesarina Barghini, a fare riferimento al testamento della dottoressa (trovata senza vita nella sua casa nel settembre del 2014) per sottolineare che la donna aveva massima fiducia nel poliziotto: “Il mio assistito ha scoperto della presenza di una frase rivolta a lui nel testamento della signora Bonello soltanto di recente. Nello scritto c’è un passaggio in cui lei dice ‘Date questa lettera a Bonvicini affinché indaghi e mi faccia giustizia’”.

Una frase che, secondo il legale, inevitabilmente ha contribuito a spingere Bonvicini a voler andare avanti nel processo, evitando il patteggiamento: “Secondo noi è un’ulteriore dimostrazione che la signora Bonello avesse massima fiducia in Bonvicini e, di conseguenza, che non sussistano nemmeno i presupposti per contestare una circonvenzione d’incapace” conclude l’avvocato Barghini.

Un aspetto che, sicuramente, alla luce del rinvio a giudizio per Bonvicini sarà approfondito nel corso del processo che inizierà il prossimo febbraio e che vedrà a giudizio anche il dottor Mauro Acquarone (avvocati Paolo Nolasco e Fausto Mazzitelli), ex marito della vittima e medico, che come l’ex comandante della postale, deve rispondere dell’accusa di omicidio colposo per la morte di Luisa Bonello (secondo la Procura non avrebbero fatto abbastanza per impedire che la dottoressa continuasse a tenere in casa diverse armi, tra cui la pistola con la quale quel 19 settembre si era sparata).

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