Noli. Il caso della targa commemorativa dedicata a Giuseppina Ghersi è diventato un caso politico nazionale, con un dibattito sull’iniziativa voluta dal consigliere comunale Enrico Pollero all’insegna delle polemiche e dello scontro politico: nel mirino era finita anche la dura presa di posizione dell’Anpi provinciale, contraria alla targa, che ha ricordato Giuseppina Ghersi come complice del nazi-fascismo.
E questa notte il dibattito e lo scontro si è trasformato in vandalismo: ignoti, infatti, hanno realizzato una serie di scritte contro il consigliere comunale che ha iniziato e avviato l’iter per realizzare la targa commemorativa. La scritta “Ratto” indirizzata a Pollero è infatti apparsa questa mattina sui muri di Noli, scatenando inevitabili reazioni che alimentano ancora la vicenda.
“Sono sorpreso e amareggiato di questo atto di vandalismo e delle scritte contro Pollero…Qualificano le persone che le hanno realizzate e non aggiungo altro” afferma il sindaco di Noli Giuseppe Niccoli. “E’ stato montato un caso per una bambina vittima della guerra, punto e basta, ogni strumentalizzazione politica, da destra o da sinistra, appare davvero fuori luogo. Provo dispiacere e disgusto anche per i tanti commenti apparsi in questi giorni su una iniziativa di commemorazione per una bambina: tanto clamore dopo 72 anni dalla fine della Guerra è davvero ridicolo” conclude il primo cittadino nolese.
Sull’atto di vandalismo di questa notte è arrivato anche il commento di Roberto Nicolick, ex consigliere provinciale e che per lungo tempo ha condotto una battaglia per ricordare la bambina di 13 anni uccisa dai partigiani: “Questa è la cultura di chi non vuole accettare la verità e porta l’odio inumano nelle strade di una tranquilla cittadina”.
“Dal giorno in cui il consigliere comunale Enrico Pollero ha completato l’iter burocratico per la targa commemorativa, è come se un muro cupo ed antistorico, avesse iniziato dapprima lentamente e poi sempre più velocemente a sgretolarsi. Ci sono state reazioni a catena, contraccolpi violenti, dialettiche vivacissime, e soprattutto cambi di opinione rapidi e repentini”.
E nel mirino di Nicolick finisce il segretario provinciale dell’Anpi: “Qualcuno molto ingenuo, nel disperato tentativo di sostenerlo, ha pubblicato una già da tempo, nota lista di proscrizione, in cui la piccola Giuseppina Ghersi, appare ben due volte in un elenco dattiloscritto di pericolose spie fasciste, dimenticando che quella odiosa lista di proscrizione che mi sa tanto di gestapo nazista, fu compilata da un commissario politico di una brigata d’assalto Garibaldi, un po come se il giudice, la giuria popolare e il boia fosse la stessa persona con una obiettività estremamente scarsa”.
“Moltissimi uomini e donne di sinistra hanno preso le distanze da chi professa ancora l’odio pregiudiziale a distanza di settantanni e rimane ancorato a posizioni antistoriche e antiumane. E’ il trionfo della cultura dell’amore e del ricordo sulla cultura della morte.
Ma quello che mi ha colpito più di tutto, è stata la reazione di centinaia di privati cittadini, di ogni ceto e credo politico, che in diverse occasioni, sul web o per strada, o per telefono, hanno dato il loro unanime sostegno a questa iniziativa che si riassume in queste parole: una tredicenne è sempre una tredicenne, in qualunque contesto stico o sociale, e non doveva essere rapita, stuprata e assassinata, fu una cosa orrenda fatta anche davanti ai suoi genitori e alla zia che persero la loro figlia unica”.
“La società civile ha un debito verso questa ragazzina e deve saldarlo senza cadere in inutili strumentalizzazioni di natura politica. Intanto altri uomini delle Istituzioni, in altri luoghi hanno espresso l’intenzione di svolgere iniziative analoghe a ricordo della povera Giuseppina, è come un treno che sta prendendo velocità sempre di più”.
“I conservatori dei muri e gli amanti degli steccati, potranno urlare alla luna, tutta la loro rabbia, ma il vento sta cambiando e aggiungo io, finalmente” conclude Nicolick.

Ed è lo stesso Nicolick a ricordare la cronistoria dei fatti: il 25 aprile 1945, alle 17, alcuni partigiani chiedono bende, garze ed alcol alla madre e alla zia di Pinuccia, che erano affacciate alla finestra di casa, in Via Tallone, le due donne consegnano volentieri il materiale richiesto. Molto probabilmente era un sopraluogo per pianificare il seguitoIl 26 aprile alle 6, i genitori della piccola si recano al lavoro, un ingrosso di verdure e frutta, su una vettura di piazza ma vengono fermati da un giovane partigiano, De Benedetti Giuliano, armato di mitra che li fa arrestare e portare al Campo di Legino dove vengono internati, qui un altro partigiano, Piovano, sequestra le chiavi di casa e del negozio che vengono saccheggiati mentre i due sono nel campo. La piccola Pinuccia era nel frattempo, stata nascosta in casa di conoscenti al numero 6 di Via Boselli. Le pressioni sui due Ghersi si fanno violentissime, sono pestati a sangue sino a fargli rivelare dove è la piccola figlia. Il giorno 27 aprile nel primo pomeriggio un partigiano, Guerci Francesco con un suo collega, Gatti Giuseppe, si reca a prelevare la piccola che viene portata nel campo di Legino. Qui inizia la passione della ragazzina, pestata, strattonata, spogliata e violata a turno da tre criminali, quando lei resiste la prendono a calci sino a lesionarle il retto e il pavimento pelvico: la bimba, disperata, grida di dolore e di terrore, e chiede aiuto ai suoi genitori che sono lì accanto e che devono assistere a tutto questo, senza poter intervenire. Altri poliziotti partigiani assistono allo scempio della bambina e neppure loro intervengono per fermare questa barbarie senza fine. Quindi la morte della piccola potrebbe risalire alla sera tra il 26 o alla notte dello stesso giorno, quando verrà abbandonata nel piazzale del cimitero di Savona ridotta ai minimi termini.
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