Bardineto. Sono tornati liberi i fratelli Angelo ed Emilio Oddone, i titolari dell’omonima azienda agricola di Bardineto, che erano finiti in carcere all’inizio di marzo dopo che la condanna a tre anni e due mesi per omicidio colposo nei loro confronti era diventata definitiva.
La scorsa settimana i legali dei due fratelli, gli avvocati Alessandro Cibien e Giorgio Zunino, avevano presentato un’istanza di scarcerazione che è stata accolta dal magistrato di sorveglianza in tempi strettissimi. Così nelle scorse ore Angelo ed Emilio Oddone hanno lasciato il penitenziario di Massa tornado liberi grazie alla misura dell’affidamento in prova (che è stato concesso tenendo conto del fatto che entrambi hanno un lavoro, hanno risarcito il danno alla parte civile, ma anche che si erano subito costituiti quando la condanna era diventata definitiva).
Resta invece detenuta la sorella, Maria Nadia Oddone, per la quale è molto probabile che a breve i difensori presentino un’analoga istanza. Per il momento i legali degli Oddone hanno preferito trincerarsi dietro ad un “no comment” senza rilasciare nessuna dichiarazione sul buon esito dell’istanza che avevano presentato.
Gli Oddone erano finiti a giudizio per la morte sul lavoro del loro dipendente Georghe Vladut Asavei e per il ferimento del suo collega Dragan Novakovic avvenuto il 27 agosto del 2009 a Bardineto. Di recente la Cassazione aveva confermato il verdetto della corte d’assise d’appello di Genova che, nell’aprile del 2016, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado.
I giudici genovesi avevano ridotto (appunto a tre anni e due mesi di reclusione) la condanna a sette anni inflitta nel maggio del 2015 dal tribunale di Savona. La tragedia era avvenuta quando Asavei, che si trovava a lavorare in un terreno agricolo di proprietà dei fratelli Oddone, si era ribaltato con il trattore riportando la frattura dello sterno, della clavicola e di varie costole: una lesione che aveva provocato un’ampia emorragia interna.
L’ipotesi dell’accusa era che i datori di lavoro non gli avessero prestato i soccorsi in maniera corretta: quel giorno infatti non fu allertato il 118, ma i feriti furono accompagnati in ospedale con mezzi privati dei datori di lavoro. Una scelta che, di fatto, secondo il magistrato si rivelò fatale per Asavei che, se soccorso da personale specializzato, poteva essere salvato.