Savona. “Vengo senza un programma predefinito, col solo desiderio di incontrarvi e camminare con voi”. Lo ha detto anche durante la sua prima omelia da vescovo di Savona, monsignor Calogero Marino: nessuna “preparazione” preventiva, bensì invece tanta voglia di “scoprire”, ascoltare, conoscere. E allo stesso modo oggi i savonesi hanno conosciuto per la prima volta il Marino “pubblico”: un vescovo che ha mostrato soprattutto il suo lato umano, fatto di parole dolci e sorrisi, voce a tratti tremante e semplicità (fin dalla prima telefonata ha chiesto al sindaco Ilaria Caprioglio di essere chiamato semplicemente “don Gero”).
Quello che incontra i giornalisti è invece un Marino decisamente più rilassato rispetto a quello un po’ teso ed emozionato visto prima della funzione. “Forse proprio l’accoglienza dei savonesi mi ha aiutato a rilassarmi – spiega il vescovo – per me è molto faticoso lasciare la mia chiesa e le persone che amo… però sono molto contento, nei giorni scorsi ho avuto la sensazione quasi fisica di essere positivamente atteso. Finora mi pare che mi abbiano adottato un po’ tutti, una cosa bella”. Un Marino a tratti anche commosso, e non se ne vergogna: “Io sono abbastanza affettivo – ammette – e la commozione è una piccola feritoia attraverso la quale può entrare una luce, un’amicizia, il bene”.
La giornata di Marino, in realtà, è iniziata prima con una tappa al Santuario della Madonna della Misericordia (“Ho affidato a Maria il mio ministero e la mia vita”), e poi con una serie di visite ai deboli agli indifesi. “Sono stato all’hospice, a una residenza protetta per anziani e ho pranzato a una mensa della Caritas. Malati e poveri sono persone che vivono il mistero della fragilità e forse proprio per questo sono più sensibili al Vangelo e più capaci di accoglierlo. Ho chiesto soprattutto loro di benedirmi, ci siamo scambiati parole buone. Voglio continuare a essere vicino a loro, come la vita mi chiederà”.
Sul suo futuro a Savona Marino lancia qualche indicazione (“anche se con i giornalisti non bisogna scoprirsi troppo, ma voi mi sembrate persone perbene…”). La prima: “Il mio stile qui a Savona verrà da un consiglio che i miei amici in questi giorni mi stanno ripetendo come un mantra, ‘tu stai tranquillo che piano piano si fa tutto’. Affronterò le cose una cosa per volta, con l’aiuto dei più piccoli e dei poveri”.
La seconda: “Io sono abbastanza timido, ho paura di disturbare. Ma spero di essere invitato al Campus di Savona: ho voluto citare l’università nel mio discorso di saluto perchè mi affascina l’idea di averla in una città non grande come Savona, e poi perché credo davvero che quella stagione della vita, dai 20 ai 30 anni, sia quella decisiva. I giovani e i laureati li abbiamo defraudati di tante cose: del futuro, della paternità, della speranza. E allora mi piacerebbe tentare dei cammini con loro, non so cosa ma sento che gli anni della laurea e quelli immediatamente successivi sono quelli, per loro come per me, di passaggio. In quegli anni si fanno degli esodi importanti, che credo vadano accompagnati dalla comunità cristiana”.
Cultura e giovani come i due tasselli fondamentali per ripartire: un approccio forse un po’ insolito per un nuovo vescovo. Ma d’altronde Marino, lungo tutto l’intervista, rivela una immediatezza ed una concretezza certamente distanti dallo stereotipo del prelato. “Sono una persona abbastanza ‘destrutturata’ – chiarire – il riferimento a cultura e giovani mi è venuto istintivo, mentre scrivevo, non ho dovuto pensarlo. Quello della cultura è un mondo che secondo me la chiesa deve essere capace di intercettare. E qualche amico docente universitario mi ha chiesto di cercare il dialogo con il Campus”.
Non ci sono, però, solo le note liete. La diocesi di Savona, infatti, negli ultimi anni è stata nota a livello nazionale più per la scoperta di antichi casi di pedofilia che per le iniziative liturgiche. L’approccio scelto da Marino è quello di non rinnegare gli errori del passato ma guardare al futuro: “Ascolterò e cercherò di incontrare chiunque lo desideri. Credo che ogni caso sia a sé, le cose evidentemente vanno accertate da un lato senza cedere alle voci calunniose e dall’altro senza minimizzare le ingiustizie. Sapendo anche che bisogna fare i conti con le ferite del passato, ma vanno superate: i giovani non possono avere sulle spalle le colpe di 50 anni fa. Ci sono alcune vicende che bisogna saper chiudere, non nel senso di archiviarle o rimuoverle ma di rielaborarle. Altrimenti le ferite restano sanguinanti, e non portano da nessuna parte”.