Disperazione

Senza lavoro, con moglie malata e un figlio piccolo sfrattato a Finale Ligure, polemica sul social housing

Il caso di un ex dipendente di una ditta esterna che lavorava per Tirreno Power accende il dibattito sugli aiuti ai finalesi in difficoltà

comune finale

Finale L. Mentre a Finale Ligure divampa la polemica sul contributo di 300 euro dato ai profughi ospitati nel centro di accoglienza (secondo una delibera approvata dal Comune), con tanti finalesi in serie difficoltà senza lavoro e con gravi disagi abitativi ed economici, ecco la storia di un ex dipendente di una ditta che si occupava della pulizia delle caldaie e della sicurezza per Tirreno Power, una attività svolta per 32 anni.

Poi la chiusura dei gruppi a carbone, la crisi e la perdita del posto di lavoro, come è avvenuto per molti lavoratori dell’indotto che operava per l’ormai ex centrale a carbone di Vado Ligure.

E’ la storia di “Carmine”, rimasto senza lavoro e nei confronti del quale è stato disposto lo sfratto in una delle abitazione del Comune di Finale Ligure affittato a canone di mercato, ovvero 390 euro mensili, nonostante le case di via don Mario Scarrone siano inserite nell’ambito di un progetto di social housing che dovrebbe sostenere proprio le persone in difficoltà economica e sociale e con affitto ultra calmierato.

“Sono in una situazione disperata, senza lavoro, con una moglie malata e un figlio piccolo di un anno e mezzo…Ricevo solo un sussidio di disoccupazione e un aiuto di 100 euro dal Comune, dopo un piccolo lavoretto per Finale Ambiente da tempo non riesco a trovare un posto, ho 54 anni e sembra impossibile trovare un nuovo lavoro”.

“Ora non posso più sostenere le spese della casa e mi è arrivato lo sfratto: il rischio è che gli assistenti sociali portino via mia moglie e mio figlio in una struttura assistita e io in mezzo ad una strada. Spero ancora che il Comune di Finale possa aiutarmi a trovare un lavoro, o qualcuno possa fare qualcosa…” conclude disperato “Carmine”.

E con il caso dell’ex lavoratore dell’indotto di Tirreno Power, a Finale Ligure da 25 anni, torna la questione sulla gestione del social housing a Finale Ligure, scatenando la prima bagarre politica con il duro attacco del consigliere comunale di minoranza Simona Simonetti, che ricorda anche il caso uno sfratto esecutivo avviato nel 2014 nei confronti di una madre single e con una figlia minorenne: “A Finale Ligure durante l’amministrazione Richeri sono stati restaurati 14 appartamenti destinati al social housing, quattro a Perti e 10 a Finalmarina. Il Comune ha messo a disposizione un bene della collettività ed un privato ha investito nella ristrutturazione ottenuto in cambio il diritto ad incassare per 30 il canone di affitto. La Regione ha contribuito con un finanziamento del 25% del canone di affitto. L’idea sembrava buona: il Comune avrebbe ristrutturato delle proprietà comunali che da destinare ad abitazioni a canone moderato. Il regolamento stilato prevedeva di privilegiare giovani coppie di ex-finalesi”.

“In realtà questa operazione da subito si è rivelata una vera e propria beffa. Gli alloggi hanno gli stessi prezzi elevati del normale mercato immobiliare. Infatti, l’affitto si è rivelato così caro che molti hanno desistito e gli immobili sono rimasti vuoti (esempio per un appartamento di 90 mq calpestabili l’inquilino doveva pagare 1027 €/mese e la ditta ne riceveva 1370, ossia un affitto molto superiore a quello di mercato)”.

“La definizione di alloggio sociale è chiaramente fuorviante. In conclusione la realizzazione di case in social housing ha comportato l’alienazione di un bene pubblico, ossia di tutti noi, per 30 anni e la delusione di persone che speravano di avere una casa ad affitto moderato. Un bel disastro, nato dal fatto che non l’amministrazione non si era accorta che gli affitti non erano sostenibili” aggiunge ancora l’esponente della minoranza finalese.

“Nello stesso periodo il comune di Cogoleto ha messo sul mercato, con lo stesso bando 11 alloggi a affitti un terzo di quelli richiesti a Finale, questo sì un canone moderato”.

“La situazione infatti era rapidamente precipitata e a giugno 2014, con l’insediamento dell’amministrazione Frascherelli, in via Ruffini due appartamenti erano non locati, con i due inquilini che non riuscivano a sostenere il costo intero dell’affitto e una madre single, con una figlia minore, aveva uno sfratto esecutivo e rischiava di essere messa in mezzo ad una strada. Cacciata da una casa di proprietà del Comune!”.

“Il sindaco allora promise di occuparsi della vicenda e di affrontarla con la cooperativa in questione anche perché il comune aveva il vantaggio che sul contratto firmato era stato scritto che il prezzo di affitto al mq era annuo e non mensile. In realtà il problema, come molti problemi finalesi, non è stato affrontato seriamente da questa amministrazione. E’ stata risolta la questione emergenziale trovando una abitazione del comune ad un canone veramente moderato per la madre con lo sfratto, ma la questione del social-housing a prezzi proibitivi è stata lasciata a se stessa”.

“Adesso con l’accrescere delle crisi economica la situazione ha continuato a degenerare e altre due persone nelle case di Perti hanno smesso di pagare e hanno uno sfratto esecutivo. In conclusione una vicenda iniziata male è stata gestita ancora peggio, senza affrontare i problemi veri quelli che interessano le persone: la casa, il costo dell’affitto” conclude Simonetti.

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