Lettera al direttore

Cultura

Museo Archeologico di Savona, la lettera dell’Istituto Studi Liguri

museo archeologico priamar savona

A proposito di cultura… Il Civico Museo Archeologico e della Città

Ci pare indispensabile fare ulteriore chiarezza su quella che è la travagliata vicenda del Museo Archeologico savonese, su quello che rappresenta per la città e sulla normativa relativa ad una gestione museale.
Tutto avremmo pensato, meno che di dover ritornare sul tema museo non per diffondere iniziative, ma per difendere un patrimonio che è della città. Non avremmo mai più pensato, soprattutto dopo la sentenza del TAR del marzo 2016, che avremmo dovuto nuovamente rivolgerci a coloro che amministrano la città per chiedere di fermare un’operazione che rischia di farlo scomparire.
Si viene a ripetere l’appello in favore del Museo, al quale all’inizio del 2016 la città aveva risposto con centinaia di adesioni di cittadini, associazioni, forze politiche. All’appello della popolazione si erano unite le oltre duecento mail di docenti universitari, funzionari di Soprintendenze, ricercatori, che avevano avuto modo di conoscere il museo e la sua attività, con la loro diretta partecipazione a convegni internazionali promossi dalla stessa struttura sul Priamàr; ad essi si era aggiunto, con un intervento particolarmente partecipato, una lettera del Rettore dell’Università degli Studi di Genova, inviata alla Civica Amministrazione, che aveva sottolineato l’intensa e insostituibile collaborazione dell’istituzione savonese alla formazione universitaria.
Ci troviamo invece, a otto mesi dalla sentenza del TAR, a ricevere la notizia, incredibile, della chiusura della struttura il 1 novembre, con pec del 26 ottobre, su determina dirigenziale. Ed è quasi una beffa che, proprio nel giorno prima della chiusura, il museo savonese fosse stato inserito tra i finalisti del premio Riccardo Francovich inteso a “premiare il miglior museo o parco archeologico nazionale a tema medievale” che rappresenti “la migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella comunicazione”.

Sono indispensabili alcune considerazioni su quanto può perdere la Città non solo nell’immediato, ma nel prossimo futuro con la possibilità che l’intera esposizione venga smantellata.
Quando si parla di una struttura museale, non si può non partire dalla definizione che l’ICOM (International Council of Museums – UNESCO), massima autorità a livello mondiale, ha formulato nel 2007 fornendo le linee guida per la gestione di un museo. “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E’ aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto”.
Con il termine museo si intende quindi un’istituzione permanente, non una mostra, aperta al pubblico, che faccia ricerca, acquisisca le testimonianze di questa ricerca, le conservi, le comunichi e le esponga.
Legati strettamente a tale definizione sono gli standard museali fissati dalla legislazione nazionale e regionale, cioè i parametri a cui i musei devono attenersi per essere riconosciuti come tali.

Tra gli standard appaiono prioritari gli orari minimi di apertura di un museo (non meno di 18 ore settimanali) , la scientificità dei suoi operatori, la ricerca, la conservazione, la comunicazione e l’esposizione.
Il museo savonese rispetta questi standard? Decisamente sì.

– Il Civico Museo archeologico e della città è aperto per 28 ore settimanali, sabato e domenica compresi, assolvendo, in questi anni, un duplice compito, quale l’ accoglienza dei visitatori non solo correlata alla visita al percorso museale o al complesso monumentale, ma punto di informazione per gli stessi visitatori e turisti, in quanto unica struttura aperta in un Priamàr desolatamente vuoto, visitatori che chiedono ogni tipo di informazione, lamentano, giustamente, l’assenza di un bar che non sia aperto solo in estate, di un ristorante, di punti di vendita di prodotti locali, di laboratori di artigiani e ateliers di artisti.
Il personale del museo fornisce tutte le informazioni, in lingua, consiglia itinerari, percorsi di visita, fornisce materiale illustrativo e tutto quanto serve quando si visita una città.

– Il museo funziona con tre part time (numero irrisorio rispetto a quello delle altre istituzioni museali savonesi): si tratta di personale specializzato e laureato che rientra dunque pienamente negli standard museali. Nel caso savonese gli operatori museali possiedono un’approfondita conoscenza delle lingue e si rapportano quindi con i visitatori stranieri; sono entusiastici i loro commenti , oltre che sulla struttura museale, sulla professionalità nell’accoglienza.

– In merito alla ricerca il museo savonese rappresenta un’eccellenza e un caso unico: è esso stesso frutto delle ricerche archeologiche (ben 59 campagne di scavo) dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, iniziate nel 1956 e proseguite con annuali cantieri didattici o preliminari al restauro del complesso. Viene inaugurato nel 1990 collocandolo direttamente sull’area di scavo frutto delle ricerche archeologiche e lasciata in vista nel percorso museale.
Il 92% dei materiali esposti è frutto di queste ricerche, in regime di concessione ministeriale, effettuate dal concessionario, a proprie spese, con la rinuncia al premio di rinvenimento. Di conseguenza, su tali materiali l’Istituto di Studi Liguri esercita diritti scientifici ed esclusivi.
– L’Istituto ugualmente esercita gli stessi diritti sul concept dell’intero apparato illustrativo e didattico (oltre 60 pannelli); i pannelli esplicativi sono infatti frutto delle ricerche e degli scavi, talvolta inediti, sul Priamàr.

Risulta fondamentale ripercorrere, sia pure per sommi capi alcuni punti significativi della “vicenda “ museo. Ancora nel 2013, per procedere all’affidamento diretto all’Istituto della struttura museale si affermava che “Le testimonianze delle vicende storiche di Savona, sia per quanto concerne il Priamàr, sia per quanto riguarda la città, sono riemerse grazie alle indagini archeologiche condotte da anni dall’Istituto Internazionale di studi Liguri insieme all’Università degli Studi di Genova (cattedra di Archeologia medievale), su autorizzazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. La realizzazione e l’allestimento del Museo Archeologico e della Città sono stati possibili solo grazie all’intervento e alla collaborazione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, grazie al quale è possibile disporre delle documentazioni e dei materiali frutto delle ricerche dell’Istituto stesso”.
Al termine dell’affidamento, e cioè nel 2015, non appena era terminato il nuovo allestimento de primo piano del museo, con una somma irrisoria, una gara d’appalto profondamente lacunosa e discutibile assegnava la vittoria a due cooperative (da sottolineare che già nel 2014 un gruppo di cooperative aveva espresso la volontà di gestire l’intero complesso monumentale): a due di esse, la Cooperativa Archeologia di Firenze e la Cooperativa Arca di Albissola, riunite in associazione temporanea d’impresa, veniva assegnata la gestione del museo con uno scarto di 0,86 punti su 100 rispetto al punteggio conseguito dall’Istituto di Studi Liguri, e questo grazie a valutazioni a dir poco sconcertanti.
L’Istituto faceva ricorso al TAR in quanto la gara presentava vizi formali e sostanziali e lo stesso Tribunale con sentenza del 17 marzo 2016 (pubblicata il 4 aprile) decretava l’assegnazione del servizio all’Istituto, in quanto la Cooperativa Archeologia non avrebbe potuto essere ammessa alla gara in quanto la sua presidente, al momento del bando, risultava condannata a diciotto mesi dalla Corte d’Appello per omicidio colposo, (condanna poi confermata in via definitiva dalla Cassazione), per non aver ottemperato alle elementari norme di sicurezza nella gestione del forte Belvedere a Firenze. L’assenza di una adeguata segnaletica indicativa della pericolosità dell’area ha portato alla morte di una giovane ricercatrice universitaria che era precipitata da uno dei bastioni, così come era successo ad un altro giovane due anni prima, esattamente nello stesso punto. Il TAR sottolineava gli estremi dell’errore professionale grave, dal momento che “nello svolgimento della professione la tutela della sicurezza dei fruitori dei beni affidati in gestione e dei servizi appare di estrema importanza. La Commissione avrebbe dovuto considerare e motivare le ragioni della ritenuta non ostativa della condanna alla luce della oggettiva gravità dei fatti”.
Lo stesso TAR “ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa”, ma la sentenza è stata disattesa dal dirigente del servizio cultura che ha proceduto con proroghe, la penultima delle quali, il 19 settembre, chiedeva la disponibilità dell’Istituto per un’ulteriore proroga per i mesi di novembre e dicembre, mentre si rimaneva in attesa di perfezionare successivamente il prolungamento del servizio fino al febbraio del 2017 per poter “compiere tutte le verifiche propedeutiche alla predisposizione del Piano di riequilibrio del Bilancio pluriennale”.
Con la decisione improvvisa di cessazione del servizio a partire dal primo novembre, comunicata il 26 ottobre (!), non si cancella solo una struttura culturale, ma un’istituzione al servizio della società e del suo sviluppo, in quanto:
– svolge un fondamentale ruolo educativo e di apprendimento per le scuole, a partire da quelle dell’infanzia fino alle superiori, con laboratori specifici ideati dallo stesso personale del museo
– ha convenzioni con gran parte delle scuole superiori del savonese per gli stage scuola-lavoro, ormai inseriti come obbligatori per il percorso formativo dell’allievo (Liceo classico, Linguistico, Artistico, Liceo scientifico, Liceo linguistico e delle scienze umane). Mercoledì 26 ottobre, due giorni prima che ci venisse comunicata la chiusura del museo, l’aula didattica dello stesso era occupata da stagisti impegnati a seguire la prima lezione, su concetti e metodi dello scavo, per poi poter direttamente partecipare alle ricerche nell’area dell’antica Cattedrale di S. Maria
– ha convenzioni per stage universitari, grazie all’Istituto gestore, con gli studenti dell’ateneo genovese, finalizzati all’acquisizione di conoscenze legate ad un loro futuro ruolo occupazionale nell’ambito dei Beni culturali, oltre agli indispensabili crediti universitari
– fruisce, grazie al prof. Carlo Varaldo, del fondamentale supporto dell’Università degli Studi di Genova sia dal punto di vista scientifico sia didattico-divulgativo
– ha attivato un laboratorio sulla ceramica medievale inserito nel piano didattico dell’Ateneo genovese (Corso di laurea in Conservazione dei Beni culturali)
– fa ricerca e, tramite le indagini archeologiche (59 annuali campagne di scavo), acquisisce testimonianze materiali, oltre che dati storici, che vengono ad arricchire le collezioni esposte
– mette a disposizione del pubblico una biblioteca specializzata e informatizzata di oltre 5.000 volumi, di proprietà dell’Istituto di Studi Liguri. La biblioteca è inserita negli spazi museali ed è aperta alla consultazione nelle ore di apertura della struttura museale
– nello stesso percorso museale sono esposti, tra l’altro, significativi materiali di proprietà del Centro Ligure per la Storia della Ceramica, grazie alla decisione del Centro tramite la sua presidente, dott. Rita Lavagna, di metterli a disposizione dei visitatori del museo e della città
– espone materiali di proprietà dell’Istituto di Studi Liguri.

L’ICOM nella definizione del museo parla di comunicazione; in merito a questo fondamentale punto ricordiamo che il museo archeologico:
– gestisce un proprio sito, particolarmente apprezzato, ed è inserito in numerosi altri, fra cui quello attivato presso la sede centrale dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, a Bordighera, ed è costantemente presente sui social network
– organizza iniziative per il pubblico (visite guidate alla scoperta del museo con cadenza bimensile, visite guidate al complesso monumentale sempre con cadenza bimensile, visite alla scoperta del Priamàr sotterraneo (quest’ultima iniziativa, in collaborazione col Gruppo Speleologico Savonese, e a numero chiuso riscuote sempre grande successo ed esaurisce sistematicamente la disponibilità dei posti), laboratori per le famiglie (si ricorda solo l’ultima, di pochi giorni fa, il riuscitissimo Famu, famiglie al museo)
– ha ricercato sponsor e per i prossimi mesi aveva in programma (grazie al prezioso supporto del Rotary Club di Savona) la realizzazione di una serie di video guide per il museo e per l’intero Priamàr, in sostituzione di quelle ormai obsolete che sempre lo stesso Rotary aveva finanziato oltre dieci anni fa; stava prendendo l’avvio un progetto multimediale col quale le più significative vicende del complesso monumentale del Priamàr venivano ricostruite in 3D; si stava concludendo la stesura di una nuova e aggiornata guida del Priamàr in italiano e inglese)
– il museo viene pubblicizzato sul sito Network Museum, consultabile on line.

Sinceramente a noi pare miracoloso che nel Museo archeologico, inserito in una struttura come il Priamàr – fino ad oggi così poco pubblicizzata e valorizzata, il cui primo biglietto da visita è purtroppo costituito da una galleria degli ascensori lasciata nel più assoluto degrado (galleria che, ricordiamolo, è costata ben 348.000 euro) e che, dopo una certa ora della giornata, diventa terra di nessuno – siano entrate migliaia di persone, turisti, scolaresche.

Istituto internazionale di Studi Liguri

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