Savona. Il procedimento relativo all’inchiesta sulla maxi evasione fiscale intorno all’azienda “Grissitalia Srl”, che nell’aprile 2015 era sfociata in una serie di ordinanze di custodia cautelare, è approdato in udienza preliminare. Il pm Ubaldo Pelosi ha chiesto il rinvio a giudizio per dodici persone tra i vertici aziendali e i trasportatori che, emettendo fatture per operazioni inesistenti, secondo l’accusa, erano coinvolti nell’evasione.
Questa mattina, davanti al giudice Francesco Meloni, sei degli imputati, Cesare Dagna, in qualità di fondatore dell’azienda e azionista di maggioranza di Grissitalia per il tramite della fiduciaria Fin Sipaf spa, i figli dell’imprenditore Massimo e Roberto, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione di “Grissitalia” e amministratore di Fin Sipaf spa, Graziano Brandino, direttore dello stabilimento di Albisola, Franco Aresca, direttore di quello di Prato Sesia, e l’autotrasportatore Diego Surace, hanno chiesto di patteggiare. Tre, gli autostrasportatori Giancarlo Piacentino, Jorge Oscar Mangialavori e Ronni Cavallo, di essere giudicati con il rito abbreviato, mentre per i restanti imputati Paolo Rubin, Antonio Abbate e Nicola Pabis, si discuterà la richiesta di rinvio a giudizio. I verdetti sono attesi per il prossimo novembre quando è stata appunto fissata l’udienza per definire i riti alternativi e la discussione.
Secondo l’ipotesi degli inquirenti, il sistema per frodare il Fisco ruotava intorno ai “padroncini” che lavoravano per l’azienda, leader nel settore della panificazione industriale, con stabilimenti ad Alessandria, Albissola Marina (in via delle Industrie), Mombercelli (Asti), Prato Sesia (Novara) Oricola (l’Aquila).
In particolare grazie all’emissione di una serie di fatture per operazioni inesistenti, con importi relativi a viaggi e trasporti gonfiati, i dirigenti della società saldando le fatture tramite bonifico e facendosi restituire una parte degli importi (gli autotrasportatori trattenevano circa il 20%) riuscivano ad incassare ingenti somme di denaro in contanti. Con questo sistema, secondo l’accusa, si sarebbe concretizzata una frode del valore di 3,5 milioni di euro.
Le accuse contestate agli arrestati variano da frode fiscale, a emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ad appropriazione indebita fino alla frode in commercio.
I titolari dell’azienda, nelle audizioni sia davanti al gip che al pm Pelosi, di fatto, avevano ammesso le proprie responsabilità. In particolare Cesare Dagna aveva ammesso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’incasso dei contanti “restituiti” dagli autotrasportatori, ma anche che erano soliti “pagare in nero” i dipendenti.
Dichiarazioni in linea con quelle dei figli Massimo e Roberto Dagna, che davanti al pubblico ministero avevano ammesso le loro responsabilità nella maxi evasione fiscale ipotizzata dai finanzieri savonesi. A conclusione delle ispezioni fiscali le fiamme gialle savonesi avevano quantificato una base imponibile sottratta a tassazione che, negli anni dal 2009 al 2014, superava complessivamente gli 8 milioni di euro, oltre alla constatazione di violazioni alla normativa I.V.A. per circa 3 milioni di euro e all’omesso versamento di imposte per oltre 800 mila euro.