Calcio

Come si costruiscono i talenti?

Lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia

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Nonostante nel calcio professionistico vi siano esempi più o meno positivi e più o meno negativi, di sviluppo del settore giovanile, il migliore senza dubbio lo fornisce l’Atalanta, che da tempo sfoggia il più prolifico a livello nazionale.

I giovani calciatori nerazzurri crescono nel centro sportivo di Zingonia, vicino a Bergamo, che non è un agglomerato né un quartiere. Il nome deriva dal fatto che fu costruito negli anni ’60 dall’imprenditore romano Renzo Zingone. In origine doveva diventare una sorta di città ideale, con perfetta integrazione tra lavoro, casa e attività ricreative e invece divenne un modellino che oggi ospita uno dei  più vincenti vivai d’Europa.

L’uomo che lo ha reso tale, e che ne è stato a lungo il responsabile, si chiama Mino Favini e da poco ha smesso di reggerne le sorti. Dopo la carriera da calciatore e 20 passati a dirigere i baby del Como per altri 20 e passa ha fatto lo stesso nella Dea.

Il guru Favini afferma da sempre che nei giovani il punto fondamentale è lo stop: è da quello che si giudica un giocatore. In questi ultimi anni la discussione sui vivai è stata una specie di perpetuo sottofondo, ma come fare per centrare l’obiettivo? Osservare il funzionamento della cantera  dell’Atalanta – la prima in Italia e l’ottava nel circuito UEFA secondo uno studio recente – può fornire qualche valido indizio. Innanzitutto ci vogliono pazienza e idee, spiegano nell’ambiente nerazzurro.

“Noi lavoriamo al contrario di società come l’Udinese. Loro prendono giocatori già selezionati, noi invece partiamo dai bambini di 8 anni e li portiamo fino al campionato Primavera, l’ultimo passaggio della filiera”. L’esempio perfetto è rappresentato da Gianpaolo Bellini, entrato nei pulcini e diventato capitano dell’Atalanta in Serie A. All’altro estremo ci sono i grandi club, che comprano molti giocatori di 16 o 17 anni investendo milioni di euro.

“La differenza è che i nostri allievi crescono per diversi anni seguendo gli stessi criteri, seguiti da istruttori che hanno sì giocato a calcio ma che nel contempo hanno anche una preparazione culturale importante” ci dicono alla corte di Percassi.

“Gli allenamenti tecnici si basano sulla ripetitività dei singoli gesti; per ogni piccolo atleta viene aggiornata una scheda ogni tre mesi. Tutti i tesserati sono seguiti da una psicopedagogista e da tre tutor che controllano formazione e rendimento a scuola. Naturalmente, anche qui ci vogliono soldi (si calcola poco meno di 4 milioni di euro a stagione) e strutture adeguate. Il nostro complesso comprende sette campi ed è stato appena rinnovato con un investimento da 10 milioni di euro e la costruzione di una nuova palazzina dedicata interamente alle future promesse. Ne vale la pena a guardare l’elenco dei calciatori prodotti negli ultimi vent’anni dal settore giovanile dall’Atalanta: da Baselli a Tacchinardi, da Montolivo a Bonventura, da Pazzini a Zaza fino a Zauri e i gemelli Zenoni, e si potrebbe andare avanti a lungo. Hanno tutti una cosa in comune, di cui si può essere molto fieri: sono buoni calciatori, non fenomeni. La più grande soddisfazione è quando in giro dicono che un nostro ragazzo che è andato a giocare in prestito si comporta bene, ha buona volontà e dedizione. Magari non diventerai un campione, ma se hai buone «attitudini» e molta voglia di lavorare l’Atalanta ti renderà un buon calciatore. I selezionati sono quasi tutti bergamaschi o comunque lombardi. Quelli che vengono da fuori sono meno di 20 e vivono in una struttura gestita dalla diocesi. Il ruolo in campo si decide non prima dei 14 anni. Il lavoro sulla personalità negli ultimi tempi è diventato più complicato. Nel nostro mondo sono entrate persone che non c’entrano niente col calcio: i procuratori. A loro non costa niente lusingare un ragazzo e la sua famiglia: da lì nascono problemi ai quali non eravamo preparati. Noi facciamo notare i difetti prima dei pregi; i procuratori fanno l’opposto. Spesso consigliamo di leggere attentamente le varie formazioni dell’Interregionale. Molti di questi erano ritenuti dei fenomeni, almeno da qualcuno al di fuori dal contesto”.

“Adesso dove giocano? – facciamo notare. Nei dilettanti. Si tratta di giocatori di buonissima qualità, che però non hanno capito che occorreva qualcosa di più per arrivare lontani. C’è come una sorta di concorso di colpa. Da una parte l’esplosione del mercato dei calciatori minorenni ha reso più difficile un’adeguata formazione della personalità. Dall’altra parte c’entrano gli errori degli allenatori che pur di vincere questo o quel torneo hanno trascurato l’espressione del gioco. A volte l’importanza del risultato ha coinvolto anche noi, perché vincere è bello. Poi ci siamo accorti che stavamo sbagliando qualcosa”.

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