Pietra Ligure. Dall’essere erede di una immensa fortuna, un’azienda multinazionale solida e radicata, alle manette con l’accusa di essersi masturbato davanti a una donna di 60 anni: ecco la parabola discendente percorsa negli ultimi 10 anni da Antonio Orsero, figlio di Raffaello. Una caduta partita dal timone dell’impero della frutta e conclusasi con l’arresto per violenza sessuale.
Un cognome pesantissimo, quello di Orsero, che richiama subito alla mente la celebre azienda fondata da nonno Antonio e guidata per tanti anni da papà Raffaello. Nata come azienda familiare che produce frutta nei campi del savonese, è diventata negli anni una vera multinazionale: le sue bananiere portavano in tutto il mondo la frutta venduta dai maggiori marchi, come Chiquita o Del Monte. E come in molti altri casi già visti, quel cognome così pesante, ammantato di ricchezza e potenza, ha finito per schiacciare chi è venuto dopo, incapace di ripetere i successi imprenditoriali dei predecessori.
Antonio ha preso il timone del gruppo insieme alla sorella Raffaella nel 2006, quando è diventato amministratore delegato in seguito alla morte del padre, e da allora è stato protagonista suo malgrado di una serie di flop che hanno finito per ridimensionare quello che sembrava un impero troppo solido per essere scalfito.
Le prime avvisaglie sono arrivate con il grattacielo di vetro costruito nella darsena savonese, denominato “Filo d’Acqua”: l’opera progettata dall’architetto catalano Ricardo Bofill si è rivelata meno redditizia del previsto, con vendite sotto le aspettative, ed il quartiere immaginato dal padre e concluso dal figlio non è mai diventato la “cittadella” piena di vita che avrebbe dovuto essere. Oggi ci abita un certo numero di famiglie, ma la maggior parte degli alloggi sono “seconde case”: e così alla sera la maggior parte delle finestre restano buie, mentre i negozi al piano terra, per vivere, puntano tutto sui croceristi anziché sui pochi residenti.
Il primo vero grande flop è arrivata poi con l’avventura dei “Capitani Coraggiosi”, la cordata di imprenditori italiani lanciata nel 2008 da Silvio Berlusconi con l’Operazione Fenice: un gruppo che, nelle intenzioni del Cavaliere, avrebbe dovuto salvare Alitalia permettendo alla compagnia di bandiera di prosperare rimanendo italiana. Antonio Orsero era uno dei Capitani, con una quota di minoranza, insieme a gente del calibro di Colaninno, Passera, Ligresti, Riva, Benetton o Caltagirone. Come è andata a finire lo sappiamo tutti: la cordata “salvò” Alitalia dall’acquisizione da parte di Air France (pronta a prendersi l’azienda, con debiti e tutto, imponendo però 2000 esuberi), salvo poi anni dopo rivelarsi un “bagno di sangue” da cui fuggire. E l’azienda è finita in acque ancora peggiori, con esuberi quasi raddoppiati. Nel 2014, con il GF Group già in crisi conclamata, l’uscita praticamente definitiva dalla cordata, con la diminuzione delle quote azionarie dall’1,77% allo 0,14%.
Nel 2011, poi, il passo decisivo: la rottura con Del Monte, la decisione di non lavorare più “tra le quinte” importando banane per i maggiori marchi ma scendere in campo in prima persona con un nuovo marchio, “Fratelli Orsero”, che nelle intenzioni di Antonio e del management avrebbe dovuto fare concorrenza proprio a Del Monte e a Chiquita. Il Gruppo Orsero cerca la massima visibilità, sponsorizzando tra gli altri le prime Leopolde di un Matteo Renzi ancora in piena “scalata”; nonostante gli spot nazionali, però, le quote di mercato non saliranno mai quanto sperato, e la perdita delle commesse da Del Monte si rivelerà pesantissima.
A questo punto nascono una serie di progetti per tentare di risollevare le sorti del gruppo. Tra i principali quelli nel settore immobiliare, l’ingresso in Carige e l’interazione di far “decollare” definitivamente anche l’aeroporto Clemente Panero di Villanova d’Albenga: un sogno arenato sul nascere, con lo scalo poi finito in mano all’Aeropolis.
Da lì in poi, uno stillicidio di grandi e piccole difficoltà: le vertenze Reefer e Fruttital, il trasferimento dei magazzini di Albenga a Vado Ligure, i posti di lavoro persi, i debiti con le banche che aumentano, l’impero che mano a mano si riduce. Ed in mezzo i problemi personali, che sommati alle difficoltà aziendali portano al cambio di timone e all’allontanamento, nel novembre 2013, di Antonio Orsero dalla carica di amministratore delegato. Un lento declino fino ad oggi, a quell’accusa di autoerotismo davanti all’ex badante di famiglia che, stanca di una molestia di troppo, lo denuncia ai carabinieri. E martedì l’erede dell’impero della frutta sarà in tribunale, non più a battagliare per le sorti della sua azienda ma per difendersi dall’accusa di violenza sessuale.