Il retroscena

Tracce di sangue sul cadavere di don Rocco, monsignor Paolo Piccoli inchiodato dal Ris di Parma

L'ex cappellano della clinica San Michele il 13 dicembre comparirà davanti al gup Giorgio Nicoli che deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio a suo carico davanti alla Corte d’Assise

monsignor paolo piccoli

Albenga. Nel giallo del “Seminario” che due anni fa sconvolse Trieste dove il 92enne monsignor Giuseppe Rocco, originario di Barbana d’Istria, fu trovato cadavere nella sua stanza al secondo piano della Casa del Clero di via Besenghi, e per il quale è indagato monsignor Paolo Piccoli, un ruolo fondamentale lo hanno avuto gli specialisti del Ris di Parma.

Dalle analisi, una volta accertato che quel sangue non era della vittima, i carabinieri del laboratorio del Ris hanno isolato un elenco di Dna, specie attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, cioè campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti arrivando a monsignor Piccoli che per un periodo fu cappellano alla clinica San Michele di Albenga.

Il presunto assassino, in una deposizione, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartire la benedizione nel momento in cui venne trovato morto.

Tuttavia si tratta di una spiegazione che non viene ritenuta del tutto credibile dagli investigatori anche perché quelle macchie sono state rinvenute appunto al di sotto del cadavere, in punti di difficile accessibilità in occasione di un’estrema unzione, e non solo al di sopra o ai suoi lati.

Ora don Piccoli, difeso dagli avvocati di fiducia Claudio Santarosa e Stefano Cesco del Foro di Pordenone, dovrà comparire il prossimo 13 dicembre davanti al gup Giorgio Nicoli, il giudice per l’udienza preliminare: deciderà a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico davanti alla Corte d’assise, per l’ipotesi di reato di omicidio aggravato (per lo stato di debolezza della vittima, vecchia e cardiopatica), formulata dal pm Matteo Tripani. Al momento il movente più realistico sarebbe il tentativo dell’omicida, scoperto a rubare alcuni oggetti sacri, di fare tacere l’altro sacerdote tappandogli la bocca: un gesto fatale.

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