Calcio

Mister Morgia un emblema del calcio genuino

Lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia

Massimo Morgia

L’Aquila Calcio ha presentato alla stampa e alla città il nuovo allenatore. Si tratta di Massimo Morgia (ex responsabile dell’area tecnica del RapalloBogliasco), che 65 anni, nato a Roma, dal 1990 quasi esclusivamente ha fatto la sponda tra la C1 e la C2. Il risultato migliore l’ha conseguito col Palermo in C1 dove fu chiamato nel 98′ dopo la conquista della stessa serie col Marsala, piazzandosi al secondo posto. Prima della scorsa stagione, in cui non ha allenato, ha conquistato due primi posti in serie D, prima con la Pistoiese poi col Siena.

Morgia ha esordito nella sua prima intervista dicendo che si era ripromesso di non allenare più fuori dalla Toscana, regione in cui vive, ma che è voluto a venire a L’Aquila perché l’ha convinto il progetto e perché gli piace “stare vicino a chi ha nella testa la volontà di ricostruire, perché anche lui vuole ricostruirsi, trovare nuove motivazioni”. Da subito l’ex Siena ha ribadito il suo modo di allenare coinvolgendo i giovani: in pratica prima squadra e Juniores si alleneranno insieme in una sorta di osmosi per cui, il giocatore della prima squadra potrebbe ritrovarsi ad allenare la juniores (“è successo a Pistoia“) e il giocatore Juniores andare a sostituire uno della prima squadra non disponibile. Ma in generale per Morgia, che afferma di non credere agli uomini soli al comando, è tutto il collettivo (“non solo la squadra”) che fa guadagnare, come perdere i punti.

Insomma il neo Mister è un innamorato del calcio, quello che è anche un “fatto sociale”, che va “oltre il business”, distorto negli ultimi tempi dal concetto di “obbligo di vincere” per cui si sono arrivate a fare sempre più spesso cose che fanno male allo sport. Odia il calcioscommesse e l’arroganza e si dice contento di poter (si spera) giocare in uno stadio senza barriere “perché diminuisce la conflittualità”. I suoi principi insomma sono simili a quelli tanto raccontati in questi ultimi tempi per il caso “Islanda” agli Europei. Vediamo se finalmente si riuscirà a far nascere sotto il Corno una grande una creatura simile a quella cresciuta sotto il vulcano. D’altronde l’ex Marsala e Palermo non nasconde anche le emozioni forti provate passeggiando per il centro nell’Aquila dopo il terremoto. “Qui voglio solo giocatori che facciano dell’aquilanità il proprio marchio di fabbrica e che abbiano voglia di giocare per questa città in cerca di riscatto”.

Morgia ammette di essere sbarcato a L’Aquila per vincere, non per obbligo appunto, ma per “naturale indole sportiva”. Certo, “con un budget normale, non da corazzata”, “perché questa città non merita la serie D”. Pronto anche in caso di riammissione (“col Palermo rischiammo di vincere il campionato partendo da ripescati”). Un budget che il Presidente rossoblù Corrado Chiodi ha promesso di rimodulare in caso Lega Pro sia.

Morgia è un allenatore-maestro, un tecnico che fa giocare al calcio le sue squadre, che dedica molta attenzione all’etica sportiva e che non ha paura di lanciare nella mischia i giovani che meritano. Sul suo profilo Facebook, fa bella mostra una foto di ragazzi pakistani che giocano a cricket sotto le Mura di Lucca. “Su questo prato fino a qualche anno fa (molti) ci vedevo giocare lunghe ed interminabili partite a pallone… giovani, meno giovani e ragazzini si sfidavano senza arbitri e con porte delimitate da borsoni o paletti per ore ed ore… ora ci giocano e si divertono con entusiasmo e passione ragazzi Pakistani col loro sport preferito… ci domandiamo perché in Italia da tempo manchino i talenti…non manca la strada è venuta meno la passione“.

Chi ha passato intere giornate nelle piazze, nelle strade polverose, nei campetti arrangiati alla meno peggio, non può che ricordare con un velo di nostalgia i tempi in cui giocare a pallone era semplicemente correre dietro un pallone, senza vincoli spazio-temporali (se non la paura di tornare a casa con le scarpe rotte e la canottiera sudata tra le urla della madre). E in quelle interminabili partite c’era sempre qualcuno che, viva Dio, ce l’avrebbe fatta a vestire la maglia di una squadra vera, a giocare in un campionato con l’arbitro federale. Perché quella spensieratezza aiutava a liberare il talento.  Oggi le partite improvvisate in campi improvvisati, dopo la scuola o nelle lunghe giornate estive, non ci sono più. E per tanti motivi, che non riguardano solo il calcio e lo sport ma anche la trasformazione socio-economica delle nostre città, dei nostri paesi.

Oggi i ragazzini vestono pantaloncini, scarpini e magliette linde, fiammanti con il proprio nome stampato dietro già a cinque-sei anni; vanno a scuola calcio e i genitori investono (troppo) emotivamente su di loro e su quella che dovrebbe essere solo una passione. Il pallone, dunque, invece che divertimento diventa spesso motivo di stress. Assurdo! Soprattutto perché gli adulti dovrebbero accompagnare la fantasia e l’irrazionalità dei bambini-adolescenti, non sopprimerla. E allora il problema non sono le scuole calcio in sé, ma il modo in cui i ragazzini (e le famiglie e chi ci lavora) le vivono.

Troppi cattivi maestri invece di lasciarli divertire in campo rimbambiscono piccoli calciatori di sei, sette, otto anni con gli schemi (gli schemi!), come se fossero già Messi, Ronaldo, Higuain; troppe società impostano la loro attività come veri e propri allevamenti di campioncini, per trarne gloria e  soprattutto guadagni. Ma è così difficile invece riportare in strutture più organizzate lo spirito di quelle partitelle infinite sulla strada? A quanto pare sì, ma uno sforzo bisogna farlo, anche andando a guardare quello che succede in altri Paesi (vedi Olanda con l’Ajax, tanto per fare un esempio). Perché così non muore solo la passione, muore il calcio!

Romano, classe ’51, trapiantato in Toscana grazie al football, Morgia vive a Lucca dal ’76 e ha sempre avuto la sua idea di calcio, sin da quando il capitano era lui. “Quando giocavo, i calciatori erano di proprietà della società e quando arrivò lo svincolo capimmo subito che sarebbe stato un vantaggio solamente per le grandi, mentre per le piccole sarebbero stati guai, così come per noi che perdevamo quel minimo di serenità, anche economica. Adesso la crisi e le regole stanno affossando lo sport di base e la Lega Pro ne sta pagando le conseguenze, con squadre che preferiscono disfarsi di giocatori di categoria per prendere in prestito giovani delle primavere dei campionati maggiori, spesso stranieri, così non si curano i settori giovanili e non c’è ricambio generazionale”.

“Fare calcio, ciononostante si può ancora e se mi offrissero di guidare un vivaio, con le mie idee, partirei subito. In questo senso Pistoia ha rappresentato la realizzazione di un progetto al cento per cento, dove i ragazzi si allenavano con i più grandi, dove è stato creato un senso di appartenenza unico, riuscendo a coinvolgere l’intera città. Una cosa è sicura, anzi due: la prima è che pochi addetti ai lavori fanno qualcosa per cambiare il vento; la seconda che o ci adeguiamo agli standard europei o siamo fuori”.

“Anche in altre piazza ho avuto il coraggio di credere nei giovani. Con Anconetani, ad esempio ho iniziato ad allenare nel settore giovanile del Pisa, mentre ad Empoli, invece, ho fatto esordire un certo Vincenzo Montella che adesso fra i giovani è uno dei migliori, come Eusebio Di Francesco. Nereo Rocco e Giacomo Losi li ritengo i maestri del passato. Uomini capaci d’insegnarti la vita oltre lo stop e il tiro in porta. Corrado Orrico quello contemporaneo. Penso che il tifo peggiore si annidi tra le cravatte delle tribune e non in curva e se poi non si è convinti basta andare a vedere i babbi e le mamme che seguono i figli per rendersene conto. Già i ragazzi!  Noi stavamo in contatto col pallone dodici ore il giorno, oggi l’allenamento predilige la parte tattica e quella fisica, alla fine di pallone resta un’ora e poco più, ma è sulla strada che impari, negli oratori, dove sono rimasti. Evidentemente c’è qualcosa nel sistema che non funziona. Eppure c’è chi ancora sa lavorare con i vivai, come Empoli e Atalanta, o chi sa dare continuità al lavoro di un allenatore. Esempi? Sassuolo, Carpi, Trapani e Frosinone, non si arriva dai dilettanti per caso, ma solo con progetti ben strutturati”.

Morgia ha anche scritto un libro che ha registrato un notevole successo (“Ricominciamo a giocare a pallone”), una panoramica sui valori del calcio basata sulla sua esperienza di calciatore prima e di allenatore poi, con aneddoti ed episodi della sua vita professionale. Nel testo viene riportato il suo pensiero sul calcio in generale e su quello che si dovrebbe fare per salvaguardare questo sport che è il più bello del mondo. I sogni hanno l’aria di essere delle utopie, ma ai confini delle utopie si collocano i grandi progetti e il suo  vede il calcio, nonostante tutto, come un insieme di valori e simboli sportivi”. Il ricavato del volume è stato destinato all’onlus Apr (un organizzazione per la riabilitazione).

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