La verità

I lavoratori Tirreno Power si offrono come cavie: “Controllate noi per capire se la centrale uccide”

Istanza a Comuni, Regione e Governo per chiedere di essere sottoposti a screening sanitario dopo anni di lavoro "a contatto diretto" con la centrale a carbone

Vado Ligure. “Nessuna delle istituzioni preposte a farlo ci ha mai controllato. I casi sono due: o ritengono che stiamo bene, e allora la centrale non inquina, oppure, se ritengono che la centrale inquina, vuol dire che a nessuno interessa se moriamo“. Ben più di una semplice provocazione, ma una volontà concreta da parte della neonata associazione dei lavoratori di Tirreno Power, denominata “Alcev”, che hanno presentato formale istanza, tramite il loro studio legale, per chiedere di essere sottoposti ad uno “screening sanitario” per conoscere le loro condizioni di salute dopo anni e anni di lavoro all’interno della centrale a carbone vadese.

L’istanza è indirizzata ai Comuni di Vado, Quiliano, Savona, Spotorno, Bergeggi, Noli, Albissola Marina e Superiore, alla Provincia di Savona, all’Asl 2, alla Regione Liguria, all’Agenzia Regionale Sanitaria, all’Arpal e, per conoscenza, al Ministero dell’Ambiente, a quello della Salute e alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti.

“I lavoratori sono le vittime di questa situazione – spiega l’avvocato Nadia Carmen Brignone – stiamo affrontando la questione lavorativa, di contributi e di salute per i lavoratori e agli studi epidemiologici. Sotto questo aspetto è stato deciso di offrirsi come cavie proprio per indagini epidemiologiche: se la centrale è una fonte di rischio per la salute, allora i primi ad essere esposti a questo rischio sono stati propri i lavoratori. Esposti in quanto operatori diretti della centrale e in quanto residenti del territorio”.

“I lavoratori vogliono essere analizzati e monitorati per capire il loro status di salute dopo anni di esposizione – chiarisce la legale – Questo non è ancora successo e c’è un elemento specifico: “Da una prima valutazione sommaria e atecnica effettuata dall’associazione sono emersi campanelli d’allarme in relazione alla aumentata frequenza di aberrazioni genetiche, per cui i lavoratori vogliono avere piena consapevolezza della loro situazione per quanto attiene alla salute”.

“Abbiamo presentato una istanza ufficiale ai comuni e alle autorità competenti – annuncia – I lavoratori danno loro disponibilità e chiediamo una lista delle patologie che possono essere correlate all’esposizione della centrale a carbone” conclude l’avvocato savonese.

L’istanza è stata deliberata dal Consiglio direttivo dell’associazione, come spiega Vincenzo Giamello, presidente e legale rappresentante del gruppo che, sebbene sia nata solo a marzo, riunisce già 164 iscritti tra lavoratori ed ex lavoratori della centrale Tirreno Power: “Siamo lavoratori e cittadini, e vogliamo tutelare la nostra salute e fare chiarezza su una vicenda che ha distrutto un migliaio di posti di lavoro e che ci ha messo alla gogna mediatica, accusandoci di essere degli assassini. Ma a noi non è stato mai fatto alcun controllo”.

Il concetto è semplice: dato che tra le motivazioni della chiusura c’è quella legata al rischio sanitario per il territorio, i lavoratori chiedono di conoscere le proprie condizioni. “Se stiamo male, lo vogliamo sapere – è il concetto – se invece stiamo bene, allora avevamo ragione noi. Basta calunniare i lavoratori della centrale”. Giamello rivela anche come i lavoratori si ritrovino loro malgrado “ostaggio” del loro posto di lavoro: “Oggi con la legge Fornero siamo costretti a rimanere vincolati all’azienda, pena la perdita dei contributi. Una situazione inaccettabile e per questo abbiamo avviato questa istanza”.

alcev

“Noi siamo stati messi in un angolo, come se fossimo estranei al territorio in cui viviamo – denuncia – mentre i lavoratori sono parte integrante del comprensorio savonese”. E per provarlo mostra un grafico, con la dislocazione sul territorio degli iscritti all’Alce: 45 vivono a Vado e Quiliano, 61 tra Savona e Spotorno, 42 nel comprensorio tra Varazze e Pietra e soltanto 15 sono più distanti. “Nell’interesse della nostra salute e di quella dei nostri figli vogliamo chiarezza” conclude il presidente dell’associazione.

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