Piombino. “Cercavano un colpevole, un capro espiatorio, lo hanno trovato”. Si difende dal carcere Fausta Bonino, l’infermiera cinquantacinquenne originaria di Savona, accusata dalla procura di aver provocato la morte di tredici pazienti ricoverati all’ospedale Villa Marina di Piombino. Deve rispondere di omicidio premeditato, continuato e aggravato dalla crudeltà.
In alcune intercettazioni spuntano alcune conversazioni con colleghe infermiere, in cui Fausta Bonino sembrerebbe voler depistare le indagini, cercando pretesti per autoescludersi e suggerendo che il responsabile dei decessi potesse essere un estraneo che aveva le chiavi ed entrava nel reparto di nascosto. In un’altra frase che è stata intercettata dagli inquirenti l’infermiera appare molto nervosa: “Vedrai mi fregano, domani mi mandano in galera”.
A far scattare la delicata inchiesta della procura livornese e coordinata dai carabinieri del Nas è stata la denuncia del figlio di una delle vittime. Due settimane dopo la morte della madre, avvenuta nel 2015, ha presentato un reclamo nel quale descriveva di “aver assistito, intorno alle 19.10 del giorno del decesso, alla iniezione nel braccio della madre di un liquido trasparente da parte di un’infermiera” che “lui stesso – scrivono gli inquirenti – in sede di riconoscimento fotografico individuerà nella Bonino”.
Nel fare l’iniezione alla donna, “l’infermiera aggiungeva testualmente: “Almeno così dorme”, prima di allontanare l’uomo dalla stanza. La donna era morta circa un’ora dopo. E ora interviene anche il suo legale Cesarina Barchini: “Al di là del fatto che la signora Bonino si proclama innocente con tutte le sue forze e non si spiega come si sia potuta formulare un’accusa così infamante. Quello che mi sorprende è la sicurezza con la quale, in difetto di prove certe o quantomeno di un patrimonio di indizi idonei,
si stia attribuendo alla mia assistita una condotta così efferata e, sulla base di questa insufficienza, si sia potuti arrivare ad una misura eccezionale come la custodia cautelare in carcere”, dice l’avvocato dell’infermiera che aveva lasciato il savonese negli anni ’80.