Albenga. Ancora una volta il sito di San Calocero, nuovamente al centro della ricerca dal 2014 da parte del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, non cessa di stupire e di fornire dati significativi per la ricostruzione di periodi storici poco battuti anche dall’archeologia.
A spiegarlo è il professor Pergola, direttore scientifico degli scavi: “Dopo la prima sepoltura anomala, la probabile adolescente rinvenuta prona di fronte alla facciata della chiesa, anche lo scorso anno abbiamo posto in luce una seconda sepoltura inquietante: si trattava ancora una volta di una giovane donna che è stata gettata alla base di una grossa fossa di scarico, aperta al centro della navata principale e successivamente coperta da una grande quantità di pesante pietrame. Oltre alla dinamica di sepoltura particolare, tutto lo scheletro presentava i chiari segni di una combustione. Di fronte a questo secondo caso anomalo, oltre ad un ricontrollo di tutta la stratigrafia archeologica da parte della mia équipe coordinata da Stefano Roascio e da Elena Dellù, per gli aspetti antropologici, abbiamo deciso di sottoporre i resti scheletrici a datazione al Carbonio 14 da parte di uno dei laboratori più specializzati al mondo: il Beta Analytic di Miami (USA).
“Con l’occasione abbiamo ricontrollato anche la cronologia della sepoltura prona del 2014. Se per quest’ultima la datazione attorno alla metà del XV secolo viene pienamente confermata, la notizia eclatante è che la giovane morta bruciata avrebbe una cronologia compresa tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, cioè in un periodo in cui ormai il convento di San Calocero era stato abbandonato e traslato in città, nel sito in cui poi sorse l’ospedale vecchio di Albenga, un fatto decisamente strano, anche se gli spazi consacrati, come le chiese, anche dopo il loro spostamento non perdono una certa sacralità” precisa il professor Pergola.
“Il 2 maggio del 1593, con una grande e solenne processione pubblica guidata dal vescovo Luca Fieschi e dal capitolo al completo, le reliquie del San Calocero vennero traslate dalla vecchia sede sul Monte al nuovo convento urbano, che visse fino alle soppressioni napoleoniche – spiega il direttore dello scavo Stefano Roascio -. Pertanto la probabile giovane ragazza bruciata venne sepolta, per le modalità di deposizione oserei dire quasi nascosta, in una chiesa ormai sconsacrata ed abbandonata. Sappiamo troppo poco, per ora, del complesso di San Calocero successivamente alla traslazione del convento per cercare spiegazioni razionali. Il fondo venne comprato dai Peloso Cepolla, una potente famiglia cittadina, ed effettivamente le cucine del convento hanno risistemazioni tarde, di XVII secolo, che dimostrano come la struttura venne ancora utilizzata dai nuovi proprietari. Poco si sa di come venisse impiegata la ex chiesa del convento, ma certo che la grossa fossa aperta nella navata centrale in cui venne gettata la povera ragazza bruciata, poi coperta di pietre, ci restituisce l’immagine di uno spazio ormai abbandonato, forse utilizzato solo come rimessaggio”.
“Per ora ogni ipotesi della presenza di una tale sepoltura appare prematura. Sicuramente gli spazi del convento non dovettero perdere una certa sacralità data dalla antica chiesa e dalla lunga permanenza pregressa delle spoglie del venerato Santo. Tuttavia i documenti successivi alla traslazione ci restituiscono una proprietà “laica”, dei Peloso Cepolla, che non ci autorizza a pensare ad una sepoltura canonica, avvenuta come in qualsiasi cimitero o spazio sacro. Del resto le modalità dell’inumazione, con il corpo bruciato e gettato frettolosamente in una fossa, poi coperta di pietre, sembrano allontanarci da una normale deposizione cristiana. Resta comunque aperta la possibilità di una malattia virulenta e contagiosa, che avrebbe potuto decretare una sepoltura frettolosa in uno spazio defilato, ancora comunque percepito come sacro e protetto dalla precedente presenza di un corpo santo e il fuoco potrebbe essere stato impiegato come garanzia di purificazione e sanificazione delle spoglie, ma ogni ipotesi allo stato appare ancora aperta e occorrerà approfondire maggiormente la storia del convento dopo l’abbandono” conclude Roascio.
Elena Dellù, l’archeoantropologa che ha svolto le indagini preliminari sullo scheletro afferma: “Non possiamo sapere se la combustione registrata dalle ossa sia stata la causa della morte dell’individuo (probabilmente di sesso femminile) o se sia intervenuta successivamente alla sua morte, certo, se così fosse, non dovette passare molto tempo dal decesso perché il rogo interessò una salma non ancora scheletrizzata, quindi non decomposta. Lo scheletro non restituisce segni evidenti di morte violenta e neppure di gravi patologie registrate dalle ossa ad eccezione di un forte stato anemico, va comunque precisato che molte malattie virali o acute non avrebbero comunque lasciato tracce evidenti sulle ossa, quindi occorrerà attendere eventuali indagini specifiche per avere ulteriori dati”.
Concludono Pergola e Roascio: “per l’ottobre del 2016 è già programmata la terza campagna di scavo in concessione ministeriale, che ci auguriamo porterà ancora ulteriori novità ad un sito già ricchissimo di sorprese. Contestualmente allo scavo, assieme ai nostri preziosi sponsor Fondazione De Mari e Fondazione Lamboglia, organizzeremo un grande convegno internazionale proprio sulle sepolture anomale, che servirà a fare il punto a livello europeo su questa interessantissima tematica dell’archeologia funeraria e riporterà nuovamente Albenga al centro della ricerca, come lo fu ai tempi di Nino Lamboglia”.