Regione. “Il fatto che Edoardo Rixi abbia assunto il proprio cognato nella segreteria del suo assessorato ci pone soprattutto davanti a un’enorme questione di opportunità, ma forse non solo”.
A dirlo sono i consiglieri regionali del Partito Democratico, che a proposito dell’assunzione del cognato di Rixi nella segreteria del suo assessorato, proseguono: “Ci lasciano interdetti le parole dell’assessore che si è giustificato sostenendo che lo stipendio di questo assistente sia basso (750 euro lordi al mese). Ci risulta che il contratto del cognato di Rixi sia stato firmato dal presidente Toti, che (come la giunta e il consiglio) è un organo della Regione e sappiamo che a, questo atto, è stato allegato un documento in cui si fa riferimento alla determinazione con la quale Rixi intende assumere proprio questa persona, con tanto di nome e cognome”.
“Ci risulta, inoltre, che per i parlamentari sia vietato assumere dei parenti e quindi chiederemo all’autorità nazionale anticorruzione e ai responsabili regionali in materia di esprimersi in merito a questa vicenda. Per analogia vorremmo inoltre ricordare che il codice di comportamento per i dipendenti pubblici vieta l’assunzione di familiari”.
“Con quello che è emerso e sta emergendo la Lega Nord può fare di tutto in questa Regione tranne che dare lezioni di moralizzazione”, concludono i membri del gruppo del Pd in Regione.
Non meno severo è il giudizio del Movimento 5 Stelle: “Tra arresti, indagini, scandali e presunte frasi omofobe, siamo ormai abituati a commentare le incredibili disavventure della Lega Nord. Quella di Rixi è una condotta altamente inopportuna, trattandosi di un parente stretto. Ma la cosa più curiosa è stata la giustificazione addotta dall’assessore, che spiega: “Lavora con me da molto prima che conoscessi mia moglie. Anzi, me l’ha presentata lui. Cosa ci posso fare se poi è diventato mio cognato”.
“Ragionamento che non farebbe una piega. Non fosse che l’assunzione in Regione è arrivata dopo le (auguriamo felici) nozze dell’assessore. Ed è questo che viene contestato, non certo le scelte di vita private. Il vicesegretario leghista non avrebbe nemmeno dovuto candidarsi vista l’indagine per peculato, così come funziona in paesi più civili del nostro. Oggi, tra il rinvio a giudizio, la difesa a spada tratta dell’indifendibile De Paoli e questa assunzione quantomeno di cattivo gusto (specialmente perché non è stato lui ad autodenunciarsi), diventa sempre più pressante la necessità di un suo allontanamento dalla scena pubblica”.