L'accusa

Processo Casareto, il pm: “La difesa ha voluto screditare le vittime”

“Casareto ha approfittato della permanenza e dell’affidamento dei ragazzini nella casa, ma anche del loro affetto, per compiere gli abusi"

Chiara Venturi

Savona. “E’ stato un processo molto complesso nel suo svolgimento perché ha comportato l’audizione di molti testimoni, ma anche per la struttura dell’imputazione perché riguarda abusi sessuali a danno di tre ragazzi e, infine, per la componente emotiva perché in molte testimonianze si è sentito il peso di dover fare delle dichiarazioni a favore di uno o dell’altro”. Così il pm Chiara Venturi (nella foto) ha iniziato la sua requisitoria culminata con la richiesta di nove anni di reclusione per Massimiliano Casareto.

“C’è un libro che si intitola ‘Le vite degli altri’ e nei processi è questo che accade: capita di entrare nelle vite degli altri e nelle loro case. Per mesi ho guardato all’interno della vita di una casa famiglia e l’ho fatto perché i ragazzi che sono parte civile oggi ci hanno denunciato qualcosa. Il nostro compito è dare una spiegazione a quello che succedeva in quella casa famiglia guardando alle prove del dibattimento” ha proseguito il pm Venturi.

“E’ fuor di dubbio che il primo elemento fondamentale da guardare è la credibilità delle dichiarazioni delle persone offese visto che l’accusa all’85 per cento si basa proprio sulle loro affermazioni. Io ritengo che i ragazzi abbiano detto cose vere. Sarei anche pronta a chiedere l’assoluzione se avessi visto che dal dibattimento sono emersi elementi diversi da quelli delle indagini preliminari, ma secondo me non è così” ha proseguito il magistrato che poi si è soffermato sulla attendibilità dei denuncianti (un ragazzo e due fratelli che sono stati tutti ospiti della casa famiglia): “Perché lo sono? Intanto perché le dichiarazioni sono precise, non fanno riferimento a concetti fumosi, ma sono state logiche e coerenti. Hanno una coerenza interna ed esterna e ci hanno raccontato la modalità precisa con cui gli abusi avvenivano e dove. E’ una precisione che va indietro nel tempo: parlano di cose successe quando erano adolescenti, di questioni chiuse nel loro cassetto della memoria triste. Riascoltando l’incidente probatorio ho avuto prova della forza delle dichiarazioni di questi ragazzi”.

Secondo la tesi dell’accusa questi ragazzi, che venivano tutti da situazioni famigliari difficili, inizialmente non hanno denunciato perché temevano di perdere quello che avevano: “Una delle vittime inizialmente parla di atteggiamento affettuoso, di baci e abbracci percepiti come normali, ma poi racconta di un episodio accaduto quando aveva 13 anni in cui Casareto gli ha messo le mani sulle natiche mentre si abbracciavano. E ‘Massi’ fa passare la cosa come normale, dicendo che la sta facendo come un padre verso un figlio. Anche fratelli dicono che Casareto usa questa scusa”. Il pm poi giustifica il comportamento della vittima precisando che “un ragazzino contro il mondo degli adulti pensa di non vincere quindi non parla” e poi, a volte, “si sente in colpa”.

“È quello che succede alle vittime di violenza. Si danno colpa per quello che è successo: ‘Lui fa questo perché io l’ho indotto a pensare che poteva farlo’. Il ragazzo non descrive Casareto come un mostro, ma ci dice che lui aveva affetto per Massi e che lo ha aiutato ad imparare un mestiere (quello nell’ambito della cinofilia, ndr). Per quattro anni hanno lavorato insieme e poi Casareto è andato via dal campo di addestramento, ma tra i due non c’era nessun conflitto ‘commerciale’ perché insieme ai cani svolgevano attività diverse e non in contrasto” osserva il magistrato che sulla confessione “tardiva” spiega: “La molla è stata rappresentata dal fatto che per la prima volta il ragazzo esprime il suo orientamento sessuale e ha un rapporto che gli dà la forza di aprire il cassetto. Il compagno gli fa venire il sospetto che questa cosa che aveva vissuto fosse una cosa brutta e lui capisce che poteva essere successo anche ad altri e allora contatta altre potenziali vittime”.

Secondo l’accusa la buona fede del ragazzo è rappresentata dal fatto che, in un primo momento, fa un esposto anonimo. Per quanto riguarda le dichiarazioni dei due fratelli , che confermerebbero quelle dell’altra vittima, per il pm “non sanno cosa significa avere un padre” tanto che nell’incidente probatorio definiscono i rapporti con Casareto “affettuosissimi” anche se un po’ “morbosi”: “Voleva sempre che ci dicessimo ti voglio bene”.

Sulle accuse il pubblico ministero non ha dubbi: “Casareto aveva la brutta abitudine di andare a sdraiarsi nel letto con lui. Il ragazzo parla di una decina di volte quando era in stanza comune e altre quando era da solo: ‘veniva alla sera, sempre con pantaloni o mutande’. Si sdraiava, lo abbracciava e gli toccava i genitali facendo finta di crollare in sonno profondo. Perché non lo ha detto prima? Anche lui pensava che succedesse solo a lui. Quel ragazzo ci ha detto che Casareto per lui era come un padre ma che non sapeva come si comportava un padre. Ci disse che sperava che quella non fosse l’ennesima sfortuna della sua vita”.

Per quanto riguarda la terza vittima, che sarebbe stata costretta a spogliarsi davanti a Casareto per poi sdraiarsi “pancia contro pancia” sopra di lui, il pm dice: “Era un affetto morboso che non era altro che un compiacimento sessuale, ma secondo me il ragazzo non ha percepito questo come abuso. Questo però non sminuisce la gravità del fatto. Questi ragazzi non avevano niente e quindi la casa famiglia era meglio di niente per questo, anche se qualcuno ti toccava, si faceva finta di niente. Le vittime hanno detto tutte che a Casareto volevano bene, che per loro faceva anche cose belle. Era come chiedergli di scegliere tra buttarsi giù da uno strapiombo o di restare nella casa famiglia. E’ ovvio che scegliessero quest’ultima”.

Oltre alle testimonianze “dirette”, secondo il pm, sono fondamentali i “riscontri esterni”, ovvero alcune testimonianze. In particolare quella di un’amica di uno dei tre ragazzi che avrebbe raccolto una sua confidenza sugli abusi. E poi quella della sorella della presunta vittima, anche lei ospite della comunità, e quella di una psicologa che aveva seguito per un certo periodo il ragazzo che avrebbe negato di aver mai sentito parlare di abusi, ma confermato di aver sentito commenti “diseducativi” e poco carini davanti ai bambini. Inoltre, sempre secondo la tesi dell’accusa, alcuni testimoni sarebbero stati influenzati dal gruppo “pro Casareto” e di conseguenza avrebebro minimizzato le dichiarazioni rese davanti ai poliziotti in Questura.

Infine non è mancata una stoccata verso le strategie difensive: “Trovo molto triste che siano state prodotte le letterine scritte dai ragazzi, fotografie e i regalini fatti da loro anche perché tutto questo non è in contrasto con le accuse. Siamo convinti che i ragazzi volessero bene a Casareto sebbene subissero quello che hanno subito. Non c’è nessun contrasto nel mandare una letterina ad una persona a cui vuoi bene anche se lui ti faceva quelle cose.La difesa ha voluto screditare le vittime: è venuta fuori l’immagine di tre ragazzi scappati di casa contro quella di un rispettabile cittadino di Celle”.

Non metto in dubbio che Casareto sia un ‘benefattore’, inteso come colui che fa qualcosa di buono, ma non si venga a dire che lui regalava cose ai ragazzi. Per Casareto la casa famiglia era un lavoro: era retribuito per svolgere quelle mansioni quindi non è un benefattore, ma fa un lavoro che serve per far star bene le persone. Allora dovremmo dire che anche i medici e gli infermieri sono benefattori” ha attaccato il pm che ha contestato anche la reazione di Casareto davanti alle accuse di uno dei ragazzi durante il famoso incontro intercettato dagli investigatori: “Dal punto di vista investigativo è negativo quell’incontro perché Massi non ammette mai nulla. Però dice un ‘no tiepido’: mi ha stupito che lui reagisca in maniera così composta a certe accuse”.

“Ho già spiegato perché temporalmente il ricordo di quegli abusi sia emerso dopo. Tutti questi ragazzi ci hanno detto che il ricordo era nascosto: è come un cadavere in acqua che riemerge perché la corda che lo tiene giù si spezza. Denunciando rischiavano di perdere qualcosa che per loro era importante e che gli dava conforto” ha aggiunto il pm.

Non c’è ombra di dubbio che Casareto abbia approfittato della permanenza e dell’affidamento dei ragazzini nella casa, ma anche del loro affetto, per compiere gli abusi. Erano tre ragazzi che non avevano avuto niente dalla vita quindi Casareto ha potuto giocare sul fatto che loro non avrebbero detto niente. Peccato che a distanza di tempo sia venuto fuori” ha concluso il magistrato.

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