Calcio

Amarcord granata al varo del nuovo Filadelfia 2.0

Lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia

nuovo Filadelfia

“Il leggendario Filadelfia non l’avrebbero demolito se l’impianto fosse stato in una città diversa da Torino – ha urlato Paolo Pulici dal palco nel giorno dell’annuncio ufficiale della rinascita dello stadio -, ma il Toro non l’hanno distrutto e oggi siamo davvero in tanti”.

Il mito granata il Fila l’ha vissuto e la ricetta per farlo tornare la serve davanti a tutti. “Ricostruitelo e tenetelo aperto ai tifosi – ha spiegato il bomber del Toro dello scudetto – sono loro la vera forza del Toro: io tante cose le ho imparate più dagli anziani del Filadelfia (di cui in questo report onoreremo due fra le tante grandi figure) che dalle sue mura. Adesso ricominciamo a viverlo e spero mi chiedano di battere il primo calcio d’inizio“.

Nel progetto presentato alla stampa oltre ai due campi e alle tribune sono previsti anche la sede del club, una caffetteria, una foresteria per i giovani calciatori e il Cortile della Memoria. Le ultime due opere sarebbero certamente piaciute a don Aldo Rabino, lo storico cappellano del Toro, scomparso pochi mesi fa e presidente onorario della Fondazione Filadelfia. Il suo sogno si sta avverando e forse il passaggio di consegne con la nuova guida spirituale del Torino, don Riccardo Robella, non poteva che maturare proprio al Fila.

“Siamo qui per un debito di riconoscenza nei confronti di chi ci ha preceduto – ha detto prima della benedizione della nuova pietra – e a confermare le due virtù dei tifosi granata: la fede e la speranza, che ci animano da sempre”. E’ proprio il caso di dire che questa volta la ruspa non ha portato distruzione e non ha fatto piangere i tifosi del Toro. Diciotto anni dopo lo scempio fatto del Filadelfia, la posa della prima pietra sullo storico campo del Grande Torino è stata quindi una bellissima festa di popolo, con diecimila persone presenti, e di fiducia. Perché i lavori sono finalmente cominciati e c’è una data potenziale per l’inaugurazione del nuovo impianto.

“L’obiettivo è quello di essere qui di nuovo tra un anno – ha detto il presidente Urbano Cairo – in coincidenza con il 90° compleanno del Fila il 17 ottobre 2016, oppure il 3 dicembre, quando il Toro farà 110 anni”. Il progetto si vede c’è, i soldi anche. Almeno per la prima parte, quella sportiva, in attesa che si trovino nuovi fondi grazie ai tifosi, alle istituzioni e ai privati per la parte museale e quella commerciale. Ora con 8 milioni di euro, finanziati da Regione Piemonte e Comune di Torino (3,5 milioni a testa) e dal Toro stesso (1 milione), si pagheranno i lavori per campo, tribune e spogliatoi che verranno effettuati dalla Cs Costruzioni di Asti.

Il nuovo Filadelfia prevede un campo principale in erba naturale dove si allenerà la prima squadra e dove giocherà la Primavera, mentre verrà costruita una tribuna da 4 mila posti che ingloberà e preserverà i monconi sopravvissuti alla vergogna dell’estate 1997. L’occasione è propizia per riservare un omaggio anche all’incommensurabile Giacinto Ellena, che nel 1926 vide sorgere il Fila. Cinto (Torino, 3 novembre 1914 – Torino, 3 novembre 2000) è stato un allenatore e calciatore, di ruolo mediano, del Torino. Ritiratosi dal mondo del calcio ultraottuagenario, si è spento il giorno del suo ottantaseiesimo compleanno, dopo una lunga malattia.

Ecco le parole di uno che ebbe l’onore di frequentarlo in vita: “Amico carissimo e insuperabile maestro. Lo conobbi agli inizi degli anni ’70 e subito mi volle al suo fianco: osservatore responsabile per la Campania. Di ragazzi promettenti gliene segnalai molti e diversi li feci salire a Torino. Ma nessuno riuscì a superare le prove, severissime, di selezione per accedere nella Primavera granata. Con l’amico Gino Colamonici, ex-calciatore e poi allenatore delle giovanili del Napoli, seguivamo anche giocatori in ottica prima squadra, spedendo continue e sollecite schede, che, bontà sua, il dott. Bonetto mostrava a tutti gli altri osservatori come prototipo da seguire nelle compilazioni. Aggiungendo poi, ma solo all’inizio: Non ho ancora capito se questi sanno solo scrivere in italiano, oppure capiscono anche di calcio. In tanti anni di collaborazione con Cinto, mai un motivo di discussione o di alterco. Eppure aveva un carattere duro e deciso, a volte spigoloso, ma di grande umanità, generosità e disponibilità. Dava tutto, pretendeva molto. In occasione di una trasferta a Napoli del Toro, volle affidarmi l’organizzazione logistica. Portai il Toro a Torre del Greco, in un albergo panoramico, isolato dal traffico e dalla congestione del centro. E, cosa importantissima già per il Toro di allora, con prezzi di assoluto favore. Non si stancò mai di ringraziarmi per la scelta ed il costo globale. Cinto amava il Sud, anzi, che io ricordi, aveva parenti al Sud. E sono anche sicuro che, con Cinto responsabile, il Toro non avrebbe mai perso Insigne. Cresciuto in una scuola calcio affiliata al Toro e non tenuto in considerazione per l’altezza. Cinto, in questi casi, voleva conoscere prima i genitori, chiedere notizie dei nonni e degli zii, senza arrendersi all’evidenza momentanea dei centimetri. Ripeteva sempre che il vino migliore si trova nelle bottiglie piccole”.

Anche l’indimenticabile giornalista Caminiti volle celebrarlo in una sua famosa intervista di cui riportiamo una breve ma interessante sintesi.

Maestro Cinto, come nacque la sua passione per il Toro?
Lo studio non mi attaeva poi tanto, andò a finire che studiavo di sera per conseguire il diploma di avviamento al lavoro, anche se non mi piaceva nemmeno lavorare. Era il calcio che amavo. Un mio insegnante a scuola, il professor Musso che aveva giocato come portiere di riserva nel Torino, parlava sempre, a me ed al mio povero fratello, di calcio, ed un giorno ci portò a vedere il Torino al campo di via Sebastopoli e ci regalò un pallone nuovo. Io avevo dieci anni e da quel momento diventai tutto granata …

E’ giusto secondo Lei affermare che chi non ha frequentato o calpestato lo stadio Filadelfia non può conoscere il Torino?
Direi proprio di sì…

Perché?
Perché quello stadio trasuda una mentalità che sarà fin troppo passionale ma è quella del Torino… La Torino popolana quella che esprimo io , figlio di un brigadiere dei pompieri, la stessa che affolla le scale del Filadelfia per un allenamento. Il tifo è rumoroso e risentito in permanenza coi “gobbi” per motivi del substrato sociale, gli juventini si sa non sono soli, non si sudano i loro scudetti. Li trovano per strada. Questa è la mia tesi di fondo. Il Torino insomma combatte e spera, il Toro è una fede. La cultura del tifoso granata è come quella mia, uscita dai prati di calcio per arrivare con tanta fatica sino ad esordire nel Torino nel gennaio 1934 contro la Fiorentina.

Si ricorda com’era quella squadra?
Allora era un Torino fatto di sudamericani, giocavano tutti bene la palla e correvano poco. Giudicelli era un artista, un palleggiatore finissimo, giocava col baschetto, da centromediano impostava il gioco per tutti, si diceva che la sera andava a letto tardi…

Anche lei?
Io dovevo fare la vita da certosino, non avevo un gran fisico, la forza me la tenevo per le partite. Ho giocato circa 200 partite nel Torino anche se ufficialmente ne risultano 117…

E qual è stata la sua ultima partita nel Torino?
A Losanna, subito dopo la guerra, nel settembre ’45, quel Torino aveva Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, me e Casigliano, Menti, Loik, Gambetto, Mazzola, Ferraris II. Fu la mia ultima partita nel Torino che poi acquistò Santagiuliana…

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