Albenga. Sono stati traditi dall’accento lombardo e dalla coppola che indossavano ogni volta che entravano in banca per fare una rapina. In manette in esecuzione di quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere sono finiti Francesco Del Gaudio (44 anni), Mario Pappalardo (43), Angelo Pappalardo (47) e Ivano Rigobello (48), tutti residenti nel milanese (uno a Milano e tre a Garbagnate) ma originari della Sicilia.
Si tratta di rapinatori professionisti, tutti pluripregiudicati, tanto che i militari sono riusciti ad identificarli proprio partendo dalla banca dati dell’Arma cercando, a partire dal 2007, rapine compiute da soggetti con accento lombardo e coppola in testa: a tradirli una colpo con queste caratteristiche realizzato nel 2008, per il quale erano già finiti in manette due dei componenti dell’attuale banda. Le ordinanze sono state eseguite ieri: due sono stati arrestati a Salò (dove stavano progettando l’ennesimo colpo), il terzo era già in carcere per reati analoghi mentre il quarto nel frattempo era stato ricoverato in ospedale dove ora è piantonato.
Oltre a loro nei guai sono finite altre quattro persone, denunciate a piede libero per favoreggiamento di rapina aggravata: secondo i carabinieri svolgevano il ruolo di basisti, fornendo supporto nei movimenti della banda, procurando loro schede telefoniche e custodendone il materiale per i colpi (come parrucche e targhe false).
Sono almeno una decina i colpi accertati dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Savona. L’indagine, coordinata prima dal maggiore Francesco Bianco e quindi “ereditata” dal tenente Alberto Azara, è partita dalla rapina di quest’estate (28 luglio) alla filiale di Albenga del Banco di Alba. Da lì si è estesa, scoprendo una serie di colpi in tutto il nord-ovest italiano, a Piacenza, Certosa di Pavia e soprattutto in provincia di Brescia.
I carabinieri hanno monitorato a lungo i soggetti, ricostruendone il modus operandi. La banda “studiava” le banche: prima di accedere ad un istituto di credito i rapinatori facevano una serie di sopralluoghi per valutare l’afflusso di clienti ed il numero di impiegati. Durante l’azione vera e propria due dei malviventi entravano nella filiale, indossando guanti (per non lasciare impronte) e una coppola e rimanendo a capo chino per coprire il volto; invitavano uno o più dipendenti ad allontanarsi dalle postazioni lavoro e, preferibilmente, li chiudevano in un unico locale per poi arraffare quello che c’era e fuggire.
Non risulta sia mai stata usata la violenza: i rapinatori non portavano con sé armi vere (anche se i militari ne hanno sequestrata una giocattolo), ma usavano un taser, un dispositivo che fa uso dell’elettricità per paralizzare un individuo e che, sebbene non pericoloso per una persona sala, potrebbe essere letale per un malato con pacemaker. Nei rari casi in cui trovavano un bancario “meno collaborativo” usavano delle fascette di plastica.
Se fermati, i rapinatori avevano con sé un falso tesserino della Guardia di Finanza, con nomi di fantasia. I quattro comunicavano tramite cellulare con schede intestate ad altri, che venivano distrutte dopo il colpo; per muoversi usavano targhe false fabbricate in casa con pezzi di plexiglass bianco e letterine adesive.
Sono almeno una decina i colpi accertati dai carabinieri: nove le rapine andate a segno, e tre quelle tentate, riconducibili alla banda. Tra la fine del 2013 e l’estate del 2015 i militari hanno stimato un bottino di oltre 320.000, di cui 32.450 nel colpo ingauno. “Vittima” preferita dai rapinatori la Banca di Credito Cooperativo del Garda, ma altri colpi sono stati messi a segno in filiali di Banca Carisbo Piacenza, Cariparma e Banco Popolare di Lodi: il colpo più grosso lo scorso 17 marzo a Calcinato (BS), presso al Banca di Credito Cooperativo dei Colli Morenici, dove i rapinatori hanno portato via 123.420 euro.