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Commercio abusivo, in Liguria affari per 614 milioni. Rixi: “Paghiamo conseguenze della liberalizzazione”

Rixi: "Il parrucchiere cinese per lo Stato è meno interessante rispetto a quello italiano perché il secondo la sanzione la paga, il primo no"

abusivismo commerciale

Liguria. Sono stati illustrati questa mattina a Genova nel corso di un convegno dal titolo “Abusivi dichiarati. Abusivi autorizzati – Una piaga alla luce del sole che nessuno vuole vedere” i risultati della ricerca sul commercio abusivo effettuata da Conferesercenti.

Nella nostra regione l’abusivismo, amplificato dalla crisi economica e da Internet, colpisce in particolare i comparti tipici, cioè la ricettività alberghiera, la floricoltura e i traffici portuali. In tutto sono coinvolti 960 lavoratori, per un giro d’affari che ogni anno tocca quota 641.4 milioni di euro, che equivale ad un mancato gettito fiscale di 335 milioni.

In Italia il commercio abusivo in Italia vale 21.4 miliardi all’anno mentre il valore delle merci sequestrate nel solo 2014 è risultato di poco inferiore al miliardo di euro, cioè 913 milioni. Per la presidente dei Confesercenti Liguria Patrizia De Luise si tratta di “un danno mostruoso per le imprese del settore e anche, naturalmente, per le casse dello Stato, che registra un danno erariale di oltre 11 miliardi in termini di mancato gettito fiscale e contributivo. Per questo lanciamo una proposta puntuale alle istituzioni e agli enti di controllo affinché vengano messe in comune le rispettive banche dati e le istituzioni dialoghino di più tra loro, le norme ci sono, le forze dell’ordine devono avere gli uomini per applicarle”.

L’assessore regionale allo sviluppo economico Edoardo Rixi, intervenuto al convegno, ha osservato: “La riforma del commercio introdotta dal decreto Bersani ha smontato uno dei settori più strutturati in Europa indebolendolo e impedendo una pianificazione commerciale. Liberalizzare un settore durante una forte spinta migratoria nel nostro Paese è stato sbagliato e oggi ne paghiamo le conseguenze”.

“Il parrucchiere cinese, che di norma utilizza prodotti non controllati, per lo Stato è meno interessante rispetto al parrucchiere italiano perché il secondo la sanzione la paga, il primo no – ha aggiunto Rixi – e va sul mercato ad un prezzo assolutamente inferiore a quello italiano”.

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