Racconto

Borghetto, l’8 settembre raccontato dalla partigiana Vittoria video

Adriana Colla ha 93 anni e risiede a Borghetto da oltre tre decadi

Borghetto Santo Spirito. “Nonostante le infinite tragedie che ogni guerra provoca, quello fu un anno pieno di passione, di entusiasmo, di generosità. Noi partigiani eravamo tutti fratelli e sorelle, c’era tra noi una solidarietà commovente, sempre pronti non solo ad aiutarci ma a morire per salvare chi era in pericolo“.

Sono passati 72 anni, da quell’anno “pieno di passione, di entusiasmo e generosità”, ma nonostante il tempo trascorso il suo ricordo è ancora lucido e chiaro. E del resto non potrebbe essere così. Quelli che racconta furono giorni terribili ma anche esaltanti. E soprattutto determinanti per il futuro e la libertà del paese che avevano deciso di difendere anche a costo della loro vita. Così ascoltare il resoconto delle loro avventure è come tuffarsi in un romanzo o in un film. E allora raccogliere la testimonianza non serve soltanto a trasmettere la memoria ma diventa anche un modo per condividere gli ideali, i sogni e le speranze che li mossero.

Adriana Colla ha 93 anni, è originaria della Val di Susa ma risiede a Borghetto da oltre tre decadi. Tutti, però, la conoscono semplicemente come Vittoria, che era il nome di battaglia che ha deciso di assumere quando nel 1943 è diventata partigiana ed è entrata a far parte delle brigate garibaldine della Val di Susa, sua terra di origine. E’ la presidente onoraria della sezione locale dell’Anpi e nonostante l’età, i ricordi di quei giorni sono ancora vividi e ascoltare il racconto degli anni del Ventennio e poi quelli della Resistenza nel 70^ anniversario della Liberazione è come scorrere un album fotografico ricchissimo.

Nacqui insieme alla dittatura fascista, a fine ottobre del 1922 e per vent’anni fui educata dai fascisti – racconta – Tutti noi eravamo fascisti, non potevamo essere diversi. Anche i testi scolastici erano scritti dai fascisti e in prima elementare, imparando a leggere, imparavamo anche a dire che il Duce era il padre della patria e imparavamo che dovevamo rispettare, onorare, amare il Duce. Ogni sabato dovevamo indossare la divisa fascista obbligatoria per andare a marciare nelle strade delle nostre città: quando si arrivava in piazza principale, tutti sull’attenti ad aspettare l’urlo del capomanipolo, che gridava ‘Saluto al Duce!’ e tutti in coro, con un urlo ancora più forte: ‘A noi!’. Ogni giorno ci ripetevano: ‘Tu devi credere, non devi pensare, Mussolini pensa per te, tu devi credere e ubbidire’. Sui muri delle case c’erano scritte enormi: ‘Credere, obbedire, combattere’. E noi credevamo tutto”.

Soltanto a 20 anni imparai cosa fosse il fascismo, quando il re arrestò Mussolini e finì la dittatura il 25 luglio 1943. Dovevo andare a Torino il giorno dopo. Abitavo a Susa, presi il treno e quando uscii dalla stazione vidi il corso bloccato da centinaia di persone che discutevano con passione, mentre alcuni giovani saliti sulle scale appoggiate al muro della stazione scalpellavano i simboli del fascio e le teste di Mussolini. Non capivo cosa succedeva ma volevo sapere. Passai tutta la giornata da un gruppo all’altro e ascoltati tanta gente che non aveva voluto la tessera del fascio ed era stata picchiata, arrestata, chiusa in galera. I fascisti entravano nelle loro case di notte e davanti ai bambini li prendevano a pugni, a calci, li obbligavano a bere bottiglie piene di olio di ricino”.

Fu per me una scoperta terribile. Mi avevano ingannato, mentito per 20 anni. Era crollato tutto quello in cui avevo creduto. Ero disperata. Tornai a Susa e per un mese e mezzo non feci nulla: camminavo per le strade, volevo incontrare i capi dei fascisti. Io li conoscevo bene, volevo chiedere perché ci avevano rovinato 20 anni della nostra vita. Ma erano spariti, tutti nascosti. Poi arrivò l’8 settembre. Il nuovo governo firmò l’armistizio con gli alleati, anche per bloccare le terribili guerre di aggressione decise da Mussolini. I tedeschi diventarono i nostri nemici e iniziarono immediatamente a distruggere paesi interi e a mitragliare gli abitanti. Allora seppi cosa dovevo fare. Posso proprio dire che l’8 settembre iniziò la mia liberazione personale. Dovevo riscattare gli anni in cui i fascisti mi avevano atrofizzato il cervello. Avevo bisogno di ribellarmi, di combattere, di dare tutto il mio aiuto, tutte le mie forze a chi avrebbe lottato per difendere la libertà dell’Italia“.

L’8 settembre del 1943, giorno della proclamazione dell’armistizio italiani con gli Alleati, iniziò la Liberazione. Quella del nostro paese e quella di Adriana Colla: “L’8 settembre mi trovavo in Val di Susa. La mia Resistenza è iniziata il 9 settembre 1943. Sono andata a cercare i ragazzi della Valle che erano scappati in montagna. Ero molto contenta nel vedere che anche loro non volevano solo nascondersi, ma volevano fare qualcosa come lo volevo fare io. All’inizio ci aiutò un prete di Susa. Dopo un mese abbiamo cominciato a chiamarlo ‘don Dinamite’ perché andava coi partigiani a far saltare i ponti per impedire ai tedeschi di entrare in Val di Susa”.

Inizialmente, Adriana Colla “lavorò” da sola: “Non eravamo partigiani. Ci chiamavamo ‘ribelli’. Io continuai a fare la ribelle fino all’inizio di luglio. Percorrevo tutta la Valle. Avevo l’incarido di controllare il numero dei tedeschi e dei fascisti. Se il numero aumentava, avvisavo le brigate partigiane perché potessero prepararsi ad affrontare un eventuale rastrellamento. Se vedevo un filo del telefono per terra lungo la strada lo tagliavo con le forbici nascoste sotto la sella della bici. Nel ritorno, poi, gettavo in mezzo alla strada i chiodi a quattro punte per bloccare le auto dei tedeschi. Una volta riuscii a riempirmi di nascosto lo zaino con tante munizioni tedesche, felice di portarle ai partigiani garibaldini che armi ne avevano poche e quelle poche senza proiettili. Purtroppo una spia mi denunciò e il giorno dopo mi cercarono in tutta Susa e fui obbligata a vivere in brigata mentre prima facevo la ribelle per conto mio“.

La sua fuga è stata rocambolesca e “fortunata”: “Iniziarono a darmi la caccia un giorno in cui mi ero recata a Torino. Sono sempre stata fortunata. Mi cercarono in tutta la Valle. Quando la sera tornai nel rifugio in cui dormivo, una signora che non conoscevo neanche mi corse incontro e mi disse di scappare perché mi avevano cercato i tedeschi. Io non ho mai avuto paura e pensavo che visto che mi avevano già cercato, il posto in cui dormivo fosse sicuro. Ma la signora insisteva e allora rinunciai e andai in un calzificio vicino alla stazione. Il direttore mi aveva detto di rivolgermi a lui se avessi avuto bisogno. Dormii nel sotterraneo, su un materasso e con solo una coperta per scaldarmi. Anche se era luglio ebbi un freddo terribile. L’indomani alle 5 un sorvegliante mi mandò via perché sarebbero arrivati gli operai. Feci a piedi mezza Valle e raggiunsi quella che poi sarebbe divenuta la mia brigata”.

Da qui inizia la sua seconda vita: “Ero ‘partigiana combattente’ della 42^ brigata Garibaldi col nome di battaglia di Vittoria. Partecipai alla salvezza di tre partigiani feriti dai tedeschi, consegnati ai fascisti che li portarono all’ospedale Molinette di Torino. Dovevano essere curati, perché i tedeschi volevano fare uno scambio di prigionieri. Lo scambio andò a monte e una suora ci fece avvertire del fatto che si pensava di impiccarli tutti e tre. Fu un’avventura che durò tutto un giorno, ore e ore sotto la pioggia, ma riuscimmo a farli fuggire. Anche io fui arrestata dai fascisti e consegnata ai loro padroni tedeschi. Un mese di prigionia e mi salvai proprio grazie allo scambio di prigionieri”.

Vittoria è una delle poche superstiti di una generazione che ha contribuito in modo fondamentale a gettare le basi della società che oggi tutti conosciamo. O che almeno dovremmo conoscere: “Oggi il mondo fa schifo. Tutto quello che abbiamo sognato è stato distrutto. Non resta più niente. Racconto tutto ciò perché da questa lotta che chiamiamo Resistenza è nata la Costituzione, che difende la democrazia, il lavoro, la pace, la dignità di ogni persona. Purtroppo dopo tanti anni non è stata completamente realizzata e, anzi, sentiamo di nuovo parlare di neofascisti, neonazisti che la vogliono cambiare: minacciano l’unità nazionale, esprimono il loro razzismo, svalutano il parlamento. Tocca ai giovani, ora, difendere le nostre conquiste e questa carta costituzionale costruita nel 1946 e, come scrisse Piero Calamandrei, murata con il sangue di tanti ragazzi uccisi durante la Resistenza”.

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