Pietra Ligure. E’ stato presentato ufficialmente ieri sera il corso di autodifesa per gli operatori sanitari dell’Asl2 savonese organizzato dall’Asd Krav Maga Parabellum di Loano. L’iniziativa prenderà il via il prossimo 6 ottobre su input del presidente dell’associazione sportiva Davide Carosa, che oltre ad essere un esperto nella difesa personale e istruttore nelle tecniche di disarmo lavora come infermiere presso il reparto di neurochirurgia dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, e il compianto maestro Pino Calà. Alla stesura del progetto, però, hanno collaborato tutti i membri dell’Asd.
Negli ultimi tre anni l’Asd ha tenuto corsi e seminari simili con gli studenti del corso di laurea in infermieristica ospitati nella “scuola per infermieri” del nosocomio pietrese. Di recente, l’Azienda Sanitaria savonese ha deciso di allargare il progetto anche agli operatori sanitari già formati e in servizio. Ma presto il corso potrebbe trovare spazio anche presso altre Asl liguri. Anche perché gli infermieri sono sempre più esposti al rischio di potenziali aggressioni da parte di pazienti tutt’altro che pazienti.
“Il corso è importantissimo – spiega il presidente del collegio infermieri della provincia di Savona Massimo Bona – perché gli operatori sanitari sono in front office rispetto al problema delle aggressioni. Rispetto al loro comportamento nei confronti del paziente non hanno alcuna difesa a parte la prevenzione. Il loro lavoro è quello di stare con l’utente anche quando è aggressivo. Ma questo vuol dire correre dei rischi. Per questo abbiamo aderito da subito a questo progetto cercando anche di estenderlo a livello regionale. Ci interessa che i nostri colleghi abbiano maggiore dimestichezza con quelle tecniche di prevenzione che l’associazione Kmp e il presidente ci hanno fatto conoscere”.
Al momento non sono disponibili dati certi relativi al numero di aggressioni subite dagli infermieri dell’Asl2 savonese: “Un dato statistico non è mai stato elaborato – precisa Bona – Non c’è un numero preciso che ci permetta di considerare il problema come estremamente rilevante o in crescita importante. Tuttavia, ci sono delle situazioni che stano esponenzialmente aumentando. Anche per questo il progetto è importante: perché ci permetterà di raccogliere dati utili e capire il tipo di aggressione, le situazioni conflittuali che si verificano e le conseguenze sugli operatori sanitari. Da qui potremo comprendere come formare gli infermieri per insegnare loro a fronteggiare al meglio le situazioni potenzialmente a rischio”.
“Nel corso dell’attività lavorativa – spiegano dall’associazione sportiva loanese – gli operatori sanitari delle strutture ospedaliere e territoriali possono essere coinvolti in problematiche anche gravi, come le aggressioni. Il National Institute of Occupational Safety and Health definisce la violenza sul posto di lavoro come: ‘Ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica durante il turno lavorativo’. Questi episodi sono in costante crescita e avvengono principalmente all’interno di ospedali, pronto soccorsi e reparti psichiatrici; strutture territoriali come il Sert per il trattamento delle tossicodipendenze; centri di salute mentale, servizi residenziali e sociali, l’assistenza domiciliare, i reparti di lunga degenza e il 118″.
Insomma, gli operatori sanitari svolgono una professione “ad alto rischio in quanto sono a stretto contatto con il paziente e sono impegnati a gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività, sia da parte del paziente stesso che dei familiari o degli accompagnatori. Gli episodi di violenza sono spesso associati all’aumento di persone con disturbi psichiatrici, acuti o cronici, dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali; dall’assunzione o all’abuso di alcol e droga, dall’accesso senza controllo di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali, dalle lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, che possono favorire nei pazienti o accompagnatori uno stato di frustrazione per l’impossibilità di ottenere subito le prestazioni richieste. Inoltre il ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività (trasporto pazienti, visite, esami diagnostici) o la presenza di un solo operatore a contatto con il paziente durante visite, esami, trattamenti può aumentare il rischio di tali aggressioni. Il comportamento violento avviene spesso secondo una progressione che, partendo dall’uso di espressioni verbali offensive, arriva fino a gesti estremi quali lesioni personali anche gravi“.
Da qui nasce la necessità di insegnare al personale sanitario le principali tecniche di autodifesa. Che, è bene sottolinearlo, non hanno un carattere di “offesa”, ma proprio di “difesa”: gli operatori, infatti, non utilizzeranno mai le nozioni apprese per aggredire un paziente, ma soltanto per evitare che un eventuale episodio di violenza possa causare danni fisici a loro o allo stesso paziente.
“Con autodifesa o difesa personale – spiegano ancora i responsabili di Krav Maga Parabellum – si indica la capacità di difendersi dai pericoli e dalle minacce all’integrità fisica e psichica. Essa può consistere anche nel saper gestire o evitare una disputa (non necessariamente sfociante in aggressione di tipo fisico o verbale) tra individui prima che per svariati motivi, possano giungere ad uno scontro. La difesa personale non è sinonimo di violenza per sopraffare fisicamente un avversario prima che sia lui a farlo e confondendola con mere tecniche di lotta quali street fighting. In realtà, la difesa personale comprende esclusivamente tecniche e strategie per la difesa dalle aggressioni fisiche, psicologiche e verbali. La difesa personale deve quindi essere vista come una cultura di prevenzione adatta a tutti“.
Ciò può avvenire in modo diverso: “Il progetto ‘Araba Fenice’ ha l’obiettivo di prevenire gli atti di violenza contro gli operatori sanitari attraverso la conoscenza di tecniche atte ad allontanare da sé potenziali azioni aggressive, come la comunicazione verbale e non verbale e la consapevolezza di se stessi e di chi abbiamo di fronte, fino ad arrivare ad apprendere le basi della difesa personale. Al termine di questa proposta formativa gli operatori avranno appreso una base di autodifesa, attraverso semplici tecniche di divincolo da una presa, costrizione e immobilizzazione, senza l’utilizzo di tecniche di percussione sull’aggressore“.
“Il seminario sarà articolato in 6 lezioni settimanali e sarà suddiviso in una parte pratica nella quale verranno proposte situazioni quanto più possibile reali e potenzialmente a rischio. La parte teorica avrà lo scopo di far apprendere agli operatori l’importanza della lettura del linguaggio del corpo e della postura. Inoltre si lavorerà sulla gestione del proprio stato, sulla determinazione, la concentrazione e la sicurezza”.
Tra i docenti del corso figurano Barbara D’Alessandro, mental coach specializzata in metodologie nel campo della comunicazione, e Massimiliano Pulito, ideatore “Sistema Powerful Inside” e istruttore specializzato nel linguaggio non verbale (che è il primo strumento di comunicazione tra due persone).
“Io mi occuperò di favore la crescita personale degli operatori sanitari nell’ottica della sicurezza e della gestione dello stato emotivo degli infermieri – spiega Barbara D’Alessandro – La gestione della crisi dipende dalla calma, dalla tranquillità, dalla determinazione con cui i singoli individui sono in grado di gestire le situazioni che si presentano. Saper gestire il proprio stato è fondamentale: nella fase dell’aggressione occorre concentrarsi sulla respirazione e avere la consapevolezza delle proprie risorse”.
“Il 90 per cento della comunicazione avviene al 90 per cento attraverso il corpo – spiega Massimiliano Pulito – E’ un fattore molto importante ma spesso non ci si pensa. Siamo abituati a considerare solo il linguaggio verbale, ma la prima comunicazione avviene attraverso il corpo. Per questo per evitare le situazioni di crisi occorre porsi nel modo giusto. E per non essere minacciosi occorre ad esempio stare eretti, con busto eretto e testa dritta senza accentuare nessun arto. Il petto troppo ‘in fuori’ non comunica tranquillità ma dà fastidio. Occorre saper gestire il proprio corpo per evitare e prevenire le situazioni potenzialmente pericolose”.
Il corso ideato dal Kmp ha ottenuto l’appoggio della sezione savonese dello Csen, il Centro Sportivo Educativo Nazionale: “Siamo fieri del progetto presentato da Kmp – commenta Vincenzo Tripodi – Il nostro presidente nazionale è entusiasta del lavoro che stiamo facendo qui, perché è una novità assoluta”.