Lettera al direttore

Ricordo

Savona, Roberto Nicolick ricorda “Il calvario di Antonio Zunini”

Un altro episodio storico che appartiene alla galassia delle uccisioni e delle sparizioni di persone all’indomani del 25 aprile 1945.

Questo caso riguarda Antonio Zunini il quale era un appartenente, non militare, alla Divisione San Marco. Pur avendo fatto questa scelta, non era mai stato un tipo violento, anzi al contrario, si era sempre adoperato per fare liberare dei prigionieri politici savonesi , arrestati e detenuti dai nazi – fascisti, non era un S. Marco operativo, aveva solo compiti amministrativi.

Zunini, tuttavia, pagò duramente la sua scelta politica infatti, come molti appartenenti alla R.S.I. dopo la liberazione, fu processato e condannato dalla C.A.S. , la Corte di Assise Speciale, a 15 anni di reclusione e alla requisizione dei beni, questa sentenza emessa in contumacia, non fu comunque eseguita e, come spesso accadeva, il condannato continuò a rimanere in libertà. Ma non era finita, i partigiani comunisti non soddisfatti della sentenza, volevano chiudere i conti in modo definitivo : il 24 aprile del 1945, mentre transitava in bicicletta a Savona, venne fermato da una persona che gli disse di recarsi urgentemente presso un indirizzo civico di Savona, dove alcuni personaggi legati alla resistenza, lo attendevano e avevano intenzione di parlargli. Il poveretto, non avendo nulla di cui rimproverarsi, si recò all’indirizzo indicatogli.

Appena giunto venne sequestrato sotto la minaccia delle armi dalle quattro persone che lo aspettavano in casa , rinchiuso in una cantina buia per tutta una notte, picchiato selvaggiamente e derubato degli effetti personali, soldi e orologio. All’alba, fu portato in una tetra fortificazione posta sulla zona che domina il porto di Savona, forte San Giacomo, gli venne tolta la giacca, fu fatto voltare e inginocchiare, e i suoi persecutori gli spararono il classico colpo di grazia alla nuca.

Il poveretto cadde a terra, credutolo morto, i quattro assassini si allontanarono. Mentre avveniva l’esecuzione sommaria, un altro gruppo di partigiani comunisti, si recava presso l’abitazione della sua famiglia , minacciando con le armi , la moglie, la suocera e anche la piccola figlia, confiscavano, oro, abbigliamento e altre cose.

Intanto Antonio Zunini non era morto, miracolosamente, la pallottola era entrata dalla nuca e uscita dal lato destro dalla bocca senza ledere il cervello Aveva in corso una forte emorragia ma vivo, così si rialzò e barcollando raggiunse l’abitazione di una sua conoscente, Ilia Minelli in via Falletti , che lo accolse, e poi corse dalla moglie del ferito, Gina Schiaffino, per avvisarla.

.La moglie subito arrivò dalla signora Ilia , visto lo stato in cui si trovava il marito, lo fece ricoverare immediatamente presso l’Ospedale San Paolo di Savona.

E qui inizia il secondo round di sofferenze per Zunini: non fu possibile intervenire chirurgicamente visti i troppi vasi lesi, la cura, molto empirica, consistette in applicazioni di ghiaccio, cardiotonici, coagulanti e antitetanica.

Un partigiano comunista ,che lavorava nel nosocomio, uno dei tanti, lo riconobbe , avvisò gli altri suoi compagni, della presenza del ferito in corsia e dopo pochi minuti arrivarono altri assassini, armati, per completare l’opera . Questi personaggi senza alcuna pietà, con un odio incredibile, iniziarono a picchiare il ferito, direttamente nel letto di ospedale, nonostante le sue condizioni, addirittura lo sfregiarono al viso con un coltello, insultarono e picchiarono la moglie, la trascinarono a casa della di lei madre e si fecero consegnare altro denaro, affermando che forse poteva servire a pagare la libertà del ferito. In realtà il destino del Zunini era già segnato.

Dopo aver preso i soldi, i partigiani comunisti si allontanano. Nei giorni successivi, il 28 aprile, quattro personaggi , mascherati e quindi irriconoscibili, vanno , nottetempo all’ospedale e prelevano Zunini. Il personale ospedaliero non si oppone solo una monaca , Suor Annunziata, al secolo Anna Damiani, cerca di opporsi al sequestro del ferito, ma inutilmente, opporsi . Il ferito in stato di incoscienza, viene trascinato via e da quel momento sparisce semplicemente dalla faccia della terra.

Al sequestro partecipa anche il solito infermiere comunista, ex partigiano comunista, ex guardia del corpo di un capo partigiano, che , in seguito verrà coinvolto in numerosi omicidi e stragi di savonesi, uscendo sempre prosciolto dai Giudici.

A seguito degli esposti della moglie del povero Zunini, verranno effettuate delle indagini e anche dei rinvii a giudizio nei confronti di : B. S., L. A., M. G. e B. D. ( tutti a piede libero ), rispettivamente imputati , il primo per avere cagionato con arma da fuoco a Zunini Antonio lesioni personali da cui è derivato pericolo di vita, il secondo per avere con minaccia costretto Zunini Antonio e Schiaffino Gina a “restituire” loro la somma di lire 4500 , a loro dire precedentemente prestata e il quarto per avere in concorso con individui rimasti sconosciuti cagionato la morte di Zunini Antonio , interrogato dichiara di non aver mai conosciuto la vittima e di non aver mai portato via dall’ospedale nessun ferito.

Nell’aprile del 1951, l’istruttoria verrà chiusa, dichiarando il non doversi procedere contro B. S. perché il reato è estinto per amnistia; non doversi procedere contro S. A. e M. G. per mancanza di querela; non doversi procedere contro B. D. per omicidio volontario e occultamento di cadavere per non aver commesso i fatti; inoltre si dichiara di non doversi procedere per i reati di omicidio volontario nei confronti di Zunini Antonio e occultamento di cadavere dello stesso perché sono ignoti coloro che li hanno commessi. Dopo il danno anche le beffe.

La moglie, non troverà mai il corpo del marito, è ancora oggi, seppellito in qualche posto ignoto, in un luogo conosciuti solo ai suoi assassini che sono tutti morti da tempo senza nessun gesto di pentimento. Dopo anni di controversie amministrative, viene concesso il certificato di morte presunta del coniuge, per poter avere il riconoscimento della pensione come vedova e poter quindi mantenere la figlia.

Per anni la vedova e la figlia hanno incrociato a Savona, gli assassini di Antonio, sereni e tranquilli e soprattutto liberi.

 

Roberto Nicolick

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Omicidi savonesi: Roberto Nicolick racconta lo sterminio di una famiglia a Stella Santa Giustina

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