Politica

Unione dei comuni, l’opposizione della Lista civica per Giustenice: “Sarà un altro carrozzone”

Giustenice Comune

Giustenice. C’è chi si oppone all’Unione dei Comuni della Val Maremola e della Val Varatella. E’ il gruppo Lista civica per Giustenice.

“Il nostro gruppo compatto – spiegano Rozzi, Moretti e Folco- nella seduta consigliare di ieri sera ha votato contro l’istituzione di questo Ente di secondo livello in quanto costituito non in linea con la filosofia che aveva voluto le Unioni propedeutiche alla fusione e/o accorpamento dei Piccoli Comuni. Molto meglio puntare sui rapporti delle convenzioni per le funzioni associate e solo dopo un accertato rodaggio eventualmente valutare un ulteriore passaggio. Sarà un altro carrozzone che andrà in parte a sostituire il vuoto lasciato dalla Comunità Montana e probabilmente della Provincia di cui nessuno per entrambe sente più la mancanza e porterà ancora di più lontano le istituzioni dai cittadini con l’accrescimento dei disservizi”.

Di seguito l’intervento del capogruppo Ivano Rozzi.

Mi pare, leggendo le dichiarazioni sui giornali, che l’argomento Unione, sia stato preso con troppo entusiasmo e poca valutazione delle conseguenze. Certamente le Unioni di comuni non vanno viste soltanto come un obbligo del legislatore, ma come un’opportunità offerta ai Comuni di crescere in maniera virtuosa, di essere maggiormente competitivi, di superare attraverso la forma associativa comunale i rispettivi punti di debolezza, trasformandoli in punti di forza e divenire, per i cittadini e le imprese, interlocutori privilegiati nelle politiche di sviluppo e di miglioramento complessivo della qualità della vita di ognuno. Ma è del tutto evidente come la componente economica , tuttora incerta e virtuale, sia stata al momento l’unica vera spinta che ha portato alla rapida costituzione. E purtroppo, la fretta non è mai buona consigliera.

Tra l’altro, vi è da chiedersi se tutto questo oggi sia davvero in linea con quanto serve veramente ai cittadini o se invece è , come appare verosimile , anche un favore “esistenziale” ad enti che andrebbero anch’essi rottamati al pari di altri. E l’ Anci è uno di questi, non ha mai difeso il ruolo dei piccoli comuni avendo da subito bollato le forme delle convenzioni come non interessanti in quanto lasciavano ai Comuni la libertà di agire e soprattutto mantenevano inalterato il primato sul territorio, oggi invece nuovamente delegato ad un Ente di secondo livello, come le Comunità Montane che ricordo sono state soppresse perché si dice che costassero troppo.

Inoltre , l’azione riformatrice delle autonomie locali territoriali porta con se l’aberrante primato della riduzione dei tempi della discussione e della riflessione ,vorrei anche dire del confronto e nello Statuto rilevo come questo risulti vero. Certamente seguirà un regolamento dei lavori dell’Unione, ma questo comprimerà ancora di più il ruolo dei Consigli Comunali che resteranno strozzati tra gli impegni con l’ Unione e la limitata autonomia politica interna.

E’ da tempo che la stressante e ansiosa rapidità di produrre innovazioni di ordine comunale peraltro senza la necessaria visione concreta della realtà istituzionale, aggiunta alla nuova architettura istituzionale degli enti locali sostanzialmente orfana delle Province, sembra prodotta da soggetti approssimativi che non si curano degli esiti delle regole da introdurre, né si preoccupano dell’eventualità che le stesse siano irrazionali, prima ancora che irragionevoli , e dove , più che l’esito dell’opera di revisione, se sia funzionale e soprattutto sostenibile ed economicamente vantaggiosa , interessa l’attività di revisione in sé; più che la riforma (compiuta e coerente) interessa il riformare (ininterrotto ed instancabile), potendosi così mantenere sia le istanze politiche di maggioranza in uno stato di coesione e di (apparente) auto occupazione, sia le forze di opposizione in una situazione di perenne e logorante agitazione.
Nel nostro Paese la Legge n. 142/1990 aveva consentito, oltre vent’anni addietro, l’ingresso nell’ordinamento degli enti locali di una nuova forma associativa, l’Unione di comuni, disciplinata dall’art. 26 del TUEL che aveva reso possibile la nascita di un ente territoriale, con il fine di far fronte al fenomeno dei cc.dd. “Comuni polvere” (enti locali territoriali aventi popolazione non superiore a 5.000 abitanti), i quali non possedevano il requisito dell’adeguatezza, per poter erogare, con logiche anche economiche, funzioni e servizi ai cittadini.

La scelta operata con l’art. 26 della L. n. 142/1990 andava nella direzione di un superamento della miriade di Piccoli Comuni, attraverso politiche di fusione, di accorpamento tra loro di tali piccole realtà comunali, perché questo è il punto da non trascurare , l’Unione non è il fine, non è il traguardo finale , ma è una tappa che dovrebbe portare alla Fusione vera e propria. Probabilmente la norma è stata ulteriormente rielaborata ma quella pensata andava nella direzione della fusione, dove due o più Comuni contermini, appartenenti alla stessa Provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, potevano costituire un’Unione per l’esercizio di una pluralità di funzioni o di servizi; mentre poteva anche far parte della stessa, non più di un Comune con popolazione fra i 5.000 e i 10.000 abitanti.

La Legge n. 142/1990 inoltre, stabiliva un termine entro il quale l’obiettivo della fusione doveva necessariamente realizzarsi, pena, in caso di assenza di contributi regionali, lo scioglimento dell’Unione (art. 26, comma 6), ferma restando la possibilità di trasformarla in Consorzio polifunzionale. Nel comma 1 dell’art. 32 non è più detto che l’Unione di comuni debba costituirsi in previsione di una fusione tra i Comuni che la costituiscono (così come disponeva l’art. 26 della L. n. 142/1990); ma non escluderei che venga riproposta essendo stata questa la classica marchetta che si paga perché il manovratore possa comunque operare, poi degli esiti ne pagheranno il conto i cittadini comunque essa vada.  

E’ bene anche ricordare che il cambiamento del modello organizzativo e dell’approccio alla risoluzione dei problemi, non più affidato al singolo Comune, da cui tutto deriva, ma alla rete di Comuni, strutturata in soggetto giuridico a sé stante, non è questione assai semplice nei fatti concreti e non è detto che necessariamente produca gli effetti sperati. Tra l’altro è anche semplice pensare che se tutte le funzioni obbligatorie vanno messe in convenzione è auspicabile che con l’ Unione queste confluiscano lì , e allora vedete che il Comune , rimosso delle arterie e delle vene non potrà fare altro che auspicare una fine breve e non troppo dolorosa.

Vi sono molte cose che possono sbarrare la strada alle esperienza come le forti differenze riguardanti le peculiarità storico-culturali del nostro territorio; l’eccesso di logiche d’appartenenza che esaltano a dismisura il cd. campanilismo; vedi Pietra Ligure e Borghetto S.S. con il porto di Loano. La mancanza di condivisione concreta e autentica da parte dei Sindaci al progetto complessivo della forma associativa comunale; Il Sindaco di Pietra Ligure mi risulta non sia sul punto ne uno stratega e neppure un benefattore, quindi la vedo dura sul tema delle risorse. Le resistenze alle politiche di cambiamento organizzativo da parte del personale dipendente comunale, dove le mettiamo, lo sanno che tra le altre cose , si dovranno aprire gli uffici al Sabato e probabilmente tutto il giorno, come nei principali Stati Europei? La perdita di potere politico più facilmente esercitabile nel proprio Comune; la mancanza di un valido studio di fattibilità preventivo a qualsiasi decisione sulla necessità della forma associativa prescelta ed allora , e per questo che dico che la fretta e le modalità che mi pare abbiate assunto non possono essere condivisibili. Mi domando: quando non vi daranno neppure i soldi che qualche bravo venditore di unioni ha detto esserci, quali argomenti per stare assieme?

E poi c’è il rischio maggiore, in quanto già dal 1865 data in cui si prevedeva normativamente la forma delle Unioni per ridurre il numero dei Comuni in Italia , questi invece crebbero, poi tentò nel periodo fascista Mussolini di accorparne alcuni ma sostanzialmente tutto è rimasto immutato sino ai giorni nostri. Sino a che la crisi economica e la volontà di rottamazione dei politici innescò nuovamente la miccia dell’ordigno “ morte tua vita mea” così si rispolverò l’idea che a costare sono anche i piccoli comuni e quindi fu facile cavalcare la tigre per accaparrarsi il consenso sull’onda della revisione della spesa.

Il rischio è che si debba ritornare indietro, avendo a quel punto perso professionalità e avendo un territorio piegato su se stesso, sempre più povero e sempre più critico. Personalmente prima di dare la chiave di casa avrei voluto vederci chiaro , almeno cercare di capire chi farà cosa e con quali risorse di personale ed economiche. Trattandosi di un evento dai risvolti anche sociali , soprattutto sociali e non solo amministrativi, sarebbe stata buona cosa iniziare preventivamente un vero confronto .

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