Cronaca

Morte sul lavoro a Bardineto, Emilio Oddone si difende: “Sembrava che stessero bene”

Bardineto - Oddone

Bardineto. E’ ripreso questa mattina in corte d’Assise il processo per l’incidente sul lavoro che il 27 agosto del 2009, a Bardineto, era costato la vita ad un ventottenne, Gheorge Wladut Asavei. In aula, dopo che la sua deposizione era già slittata per due volte, era attesa per testimoniare la fidanzata della vittima. Nemmeno stavolta però è stato possibile ascoltarla (ha fatto sapere di non essere in condizione di viaggiare) e di conseguenza l’accusa ha rinunciato a sentirla.

Il processo è quindi proseguito con l’esame degli imputati, ovvero i titolari dell’agriturismo dove si era verificato il tragico avvenimento, i fratelli Angelo, Emilio e Maria Nadia Oddone, e la ex compagna del primo, Giuseppina Ferrari. Per tutti loro (assistiti dagli avvocati Alessandro Cibien e Giorgio Zunino) le accuse sono omicidio volontario, violenza privata, lesioni e falso. A queste, nel corso della precedente udienza, il pm ha voluto aggiungere, ampliando il capo d’imputazione, anche le contestazioni relative alla violazione delle normative sulla sicurezza sul lavoro. L’ipotesi dell’accusa è che i quattro non prestarono i soccorsi in maniera corretta: quel giorno infatti non fu allertato il 118, ma i feriti, oltre alla vittima si era infortunato anche il suo collega Dragan Novakovic, furono accompagnati in ospedale con mezzi privati. Una scelta che non avrebbe fatto altro che peggiorare le condizioni degli operai.

Agli Oddone inoltre viene contestato di aver cercato di nascondere quello che era realmente successo “suggerendo” ai feriti, accompagnati in due ospedali diversi, di riferire che si erano fatti male cadendo uno dal tetto di casa e l’altro dalla bici. La tesi della Procura è che gli imputati abbiano fatto di tutto per nascondere l’incidente sul lavoro (secondo l’accusa gli operai si erano fatti dopo essere stati sbalzati da un trattore agricolo). Una tesi che i fratelli Oddone hanno sempre respinto.

Le deposizioni di questa mattina hanno portato alla luce una serie di contraddizioni tra le ricostruzioni dei testimoni dell’accusa e quelle degli imputati. Le versioni fornite in aula infatti non solo non coincidono, ma nemmeno sono compatibili tra loro. Durante la deposizione di Emilio Oddone sono emersi diversi particolari che non coincidono con le dichiarazioni del terzo operaio che era nel bosco quel giorno, della compagna della vittima. Per esempio Emilio Oddone nega che, quando fu allertato al telefono, qualcuno gli chiese di chiamare un’ambulanza: “Ero in una zona dove non prendeva, capivo poche parole. Ho sentito dire ‘cingolato’ e ‘spostare’ quindi ho pensato ad un problema tecnico al mezzo. Allora ho chiesto a mia sorella di accompagnarmi e siamo saliti nel bosco”.

Anche sulle condizioni dei feriti, Oddone, ha ribadito che non sembravano preoccupanti: “Quando sono arrivato su parlavano e Wlad mi disse di avere male al petto, ma né lui né Dragan sembravano avere nulla. Poteva sembrare che ci prendessero in giro: non avevano un graffio, un dito sanguinante e i vestiti erano puliti. Non sembrava avessero rotolato nel bosco dopo una caduta. Per quello abbiamo deciso di portarli in ospedale in auto: perché nulla faceva pensare ad un incidente grave”.

Non è mancato poi uno sfogo da parte dell’imputato: “Questo incidente mi ha rovinato la vita, mi trovo a rispondere di cose in cui secondo me non c’entro. Io mi sono fatto un’idea di quello che è successo e sono convinto che le cose non sono andate come si è voluto far credere”. Prima di lui era stata sentita l’ex compagna del fratello, tuttora dipendente degli Oddone, che si è limitata a precisare il suo ruolo in azienda e a confermare di aver trasportato la vittima in ospedale. “Io non decidevo nulla e non avevo responsabilità. Portai Wlad ad Albenga perché ero già su quella strada e non perché qualcuno mi disse di farlo”.

Asavei, che aveva riportato la frattura dello sterno, della clavicola e di varie costole, una lesione che aveva provocato emotorace e pneumotorace, con un’ampia emorragia interna, era stato trasportato con un fuoristrada in ospedale ad Albenga dove era arrivato circa tre ore dopo l’incidente, alle 13,44. Secondo la perizia medica chiesta dalla Procura, un soccorso tempestivo avrebbe potuto dargli oltre il 90 per cento di probabilità di salvarsi. Nel procedimento si sono costituiti come parte civile, con l’assistenza degli avvocati Francesca Rosso e Francesco e Fabio Ruffino, anche i famigliari dell’operaio morto e il suo collega rimasto ferito. Prossima udienza il 27 novembre per l’audizione dei testimoni della difesa.

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