Tomaso Bruno, raccolti i fondi per terminare il film. E l’Arci nazionale si schiera: “Una vicenda inaccettabile”

Roma. “Si tutelino i diritti di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni detenuti in India da più di 4 anni”. Con questo titolo inizia la presa di posizione dell’Arci nazionale sulla vicenda di Tomaso Bruno, il ragazzo di Albenga in carcere insieme alla fidanzata a Varanasi con l’accusa di aver ucciso l’amico Francesco Montis per motivi passionali.

Una storia che, se a livello locale non ha mai smesso di stare a cuore, spesso a livello nazionale è rimasta “in secondo piano” dopo la vicenda dei due marò, che ha cambiato non poco i rapporti tra Italia e India. Ma qualcosa si muove: mentre la campagna di crowdfunding su Indiegogo ha finalmente raggiunto il traguardo (una cifra che permetterà il completamento del film “Più libero di prima” sulla storia di Tomaso), l’Arci nazionale ha deciso di prendere posizione chiedendo “di promuovere ogni iniziativa utile a rendere pubblica questa drammatica situazione”.

Il documento, emesso dal Consiglio nazionale dell’Arci nella giornata di ieri, parte dal presupposto che “siamo un’Associazione che da sempre si batte per la tutela ed il rispetto dei diritti umani e civili che non può essere insensibile ai casi in cui questi non sono tutelati”. Secondo l’Arci “l’arresto e la condanna nei gradi di giudizio susseguiti fino ad oggi si basano su prove solamente presunte e su deduzioni affrettate, come il fatto che dormire in tre in una camera equivalga ad un triangolo dal quale è nato il litigio che ha portato all’omicidio”.

Ad aggravare la posizione degli accusati c’è anche l’ammissione di uso di droghe da parte degli stessi. “Esperti di medicina legale e numerosi osservatori internazionali confermano che le sentenze sono assolutamente errate – continua l’Arci – utilizzano prove bizzarre e forzate e si fondano su una perizia post mortem totalmente fantasiosa fatta da un medico oculista: un perito che, successivamente, non sa dare spiegazioni alle sue conclusioni e cioè da dove ricavi la deduzione che la morte sia avvenuta per asfissia da strangolamento e non per cause naturali”.

“Appurato che l’intero processo è stato viziato da pregiudizi, realizzato con garanzie processuali praticamente inesistenti – insiste l’associazione – celebrato, senza traduzione, in parte in lingua Indi ed in parte in lingua Inglese, e senza alcuna considerazione delle testimonianze dei famigliari del defunto Francesco in merito ad una malattia congenita che potrebbe aver contribuito al soffocamento; senza alcuna possibilita di ripetere l’autopsia vista la cremazione del cadavere realizzata in base alle leggi indiane vigenti; riteniamo che la nostra Associazione non possa accettare il ‘muro di gomma’, di silenzio ed omertà che circonda questa vicenda e che determina, di fatto, l’esistenza di due differenti categorie di detenuti italiani in India”.

“Non possiamo accettare la negazione al diritto di avere un giusto ed equo processo – attaccano dall’Arci – non possiamo tollerare che i diritti di difesa e di garanzia siano stati e siano ancora oggi umiliati; non possiamo lasciare Tomaso, Elisabetta e le loro famiglie al loro destino senza prendere una posizione forte contro tale situazione”. Per questo il consiglio nazionale dell’arco chiede “di promuovere e supportare iniziative nei confronti del Parlamento e del Governo Italiano per far chiarezza sui fatti e tutelare i diritti di Tomaso ed Elisabetta”.

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