Cronaca

In manette per spaccio di coca, scena muta di Mannarà e Ribaj dal gip: il primo resta in carcere, il secondo ai domiciliari

Savona. Scena muta. Davide Mannarà, 35 anni, e l’albanese Boro Ribaj, di 31, finiti in manette con l’accusa di spaccio di cocaina, questa mattina si sono presentati davanti al gip Donatella Aschero per la convalida del fermo ed hanno preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Il giudice ha convalidato l’arresto di entrambi, ma ha disposto due misure cautelari differenti: l’italiano dovrà infatti restare in carcere, mentra all’albanese, che era incensurato, sono stati concessi i domiciliari.

I due, assistiti dall’avvocato Carlo Biondi, sono stati arrestati dalla polizia a conclusione di un’operazione antidroga che aveva messo nel mirino il mercato dello spaccio di marijuana e di cocaina in città. Due filoni investigativi che, seppur correlati, erano distinti tra loro. Per il primo infatti è finito in manette una terza persona, l’albanese Alia Gentjan, 32 anni, titolare della pizzeria al taglio “Sapori d’Italia”, accusato di aver messo in piedi un commercio illegale di droga con la collaborazione di un connazionale.

Per quanto riguarda invece la polvere bianca, gli inquirenti non hanno dubbi sul fatto che a gestire un traffico sull’asse Spagna-Italia fosse Mannarà con l’aiuto di Ribaj, titolare del bar (l’ex circolo Vatra) in via Montenotte 115 rosso. E’ proprio all’indirizzo del locale del centro città infatti che era stato spedito da Valencia il pacco con mezzo chilo di cocaina, occultata tra giochi erotici, intercettato dai finanzieri all’aeroporto Malpensa e poi consegnato proprio per vedere a chi fosse destinato. A ritirarlo, pur essendo intestato ad un nominativo diverso (poi risultato estraneo alla vicenda), era stato proprio Ribaj. Quanto è bastato agli agenti della squadra mobile, anche sulla base di alcune intercettazioni ambientali, per collegare l’uomo con l’attività illecità. Mannarà (che nel dicembre scorso era stato tra i portavoce a Savona della protesta dei Forconi) invece è stato collegato al pacco attraverso un’utenza telefonica che era sotto controllo: il numero era indicato come riferimento per la spedizione e in più, da quel cellulare, il trentacinquenne, non vedendolo arrivare nei tempi previsti, aveva chiesto notizie sui tempi di consegna al corriere.

Tesi investigative che stamattina, vista la scelta di non rispondere alle domande del giudice, non sono state né smentite né confermate. Per quanto riguarda la posizione di Alia Gentjan, interrogato ieri e tuttora in carcere, il suo legale, l’avvocato Antonio Migliardi, ha confermato che il suo assistito ha respinto ogni accusa.

In particolare l’albanese avrebbe negato che il garage di piazza Bernini, dove sono stati ritrovati 4 chili di marijuana lo scorso 9 agosto, fosse nelle sue disponibilità. L’uomo al giudice ha ribadito più volte di non essere in alcun modo collegato con quella proprietà ed avrebbe anche fornito delle spiegazioni in merito ad alcune intercettazioni che secondo gli inquirenti sono inequivocabili e piuttosto compromettenti. Nello specifico, sempre secondo i poliziotti della Mobile, Gentjan, che al momento del fermo si preparava a partire per l’Albania, era molto preoccupato dall’arresto del connazionale Meli Avdi, 34 anni. Secondo l’accusa, quest’ultimo altri non era che il “corriere” in servizio del primo: andava a Genova, recuperava lo stupefacente e poi lo lasciava nel garage dove il titolare della pizzeria al taglio lo recuperava per poi smerciarlo.

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