Savona. Si racchiude in una decina di pagine il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari Fiorenza Giorgi respinge l’istanza presentata da Tirreno Power. Per motivare la sua decisione il gip non usa giri di parole, ma spiega in maniera molto chiara il perché del suo “no” ad un progetto, quello dell’azienda, che “non può – scrive il giudice – ritenersi né serio né concreto”.
L’analisi del gip riparte dalle indicazioni che, nel disporre il sequestro dei gruppi VL3 e VL4, aveva dato a Tirreno Power e nelle quali precisava che se l’azienda avesse installato un sistema di controllo adeguato, da monitorare attraverso un tecnico nominato dal tribunale, e avesse gestito la centrale in modo da mantenere le emissioni nei limiti delle MTD (migliori tecnologie disponibili) avrebbe dissequestrato gli impianti.
Fatta questa premessa viene preso in considerazione il “progetto” presentato da Tirreno Power per ridurre le emissioni e riprendere l’attività rispettando i valori imposti dalle MTD. Un’istanza, che nonostante “sia stata valutata con particolare favore, tenuto conto delle gravi ricadute occupazionali che potrebbero seguire al suo rigetto”, non può essere accolta. A pesare sulla decisione la scarsa credibilità di quanto proposto dall’azienda che, di fatto, contraddice quanto aveva detto in passato per ottenere l’Aia. In particolare il giudice torna su un concetto già espresso: nella richiesta per l’autorizzazione integrata ambientale Tirreno Power aveva dichiarato che le prestazioni ambientali di VL3 e VL4 non erano migliorabili, mentre ora afferma il contrario. Non solo: nell’istanza si propone tra i miglioramenti da attuare “l’accensione a metano degli impianti a carbone” che, in uno studio di fattibilità dell’aprile 2013, era stata definita dall’azienda una soluzione “tecnicamente ed economicamente non sostenibile”.
A minare la credibilità di Tirreno Power, secondo il giudice, c’è anche il fatto che era stato “definitivamente accantonato” il progetto di realizzazione del nuovo gruppo VL6, un intervento in funzione del quale, nell’Aia, era stata vincolata la prosecuzione dell’attività dei due gruppi a carbone esistenti. Una violazione che ha portato il Ministero dell’Ambiente, lo scorso 6 di giugno, a sospendere l’autorizzazione integrata ambientale. Un altro elemento di criticità viene rilevato sulle tempistiche attraverso le quali l’azienda intende attuare il suo progetto che, essendo vincolate anche a decisioni amministrative, finirebbero per essere incerte. E poi, secondo il gip, non è vero che le emissioni attraverso “un percorso virtuoso in due fasi” dovrebbero essere “da subito praticamente già in linea con le MTD”. “L’allineamento alle MTD – scrive il giudice – potrà essere conseguito non prima dell’ottobre 2016”.
Tempi considerati troppo lunghi e che, se l’istanza fosse accolta, permetterebbero a Tirreno Power di riprendere l’esercizio dei due gruppi a carbone al di sopra delle migliori tecnologie disponibili. Quindi, in linea con quanto indicato anche dai magistrati nel loro parere negativo, il gip Giorgi rileva di non poter “autorizzare la ripresa di un’attività criminosa” visto che “per almeno due anni sarà svolta al di sopra delle performance ambientali richieste”. Un altro problema è rappresentato dal sistema di controllo delle emissioni: il giudice prevedeva che ne venisse installato uno “al camino”, mentre nella sua proposta l’azienda “insiste nel mantenere l’attuale posizionamento del sistema di controllo” (sistemato alla base dei gruppi).
Il “colpo di grazia” il giudice lo infligge prendendo in considerazione “le reali intenzioni” di Tirreno Power di investire sull’impianto vadese. Dall’esame di due documenti aziendali (“Il piano di ristrutturazione avanzamento attività” e la “Manovra di ristrutturazione finanziaria” approvati dal cda di Tirreno Power nell’ottobre e nel novembre del 2013), secondo il gip, emerge come non fossero previsti né la costruzione del VL6 né l’ambientalizzazione dei gruppi esistenti e fosse stato previsto il licenziamento, fra il 2014 e il 2016, di 120 dipendenti ai quali se ne sarebbero aggiunti 11 alla chiusura dei gruppi. Un “business plan” che, di fatto, confermerebbe come Tirreno Power non aveva alcuna intenzione di investire nell’impianto di Vado Ligure.
Queste, in sintesi, le argomentazioni del giudice Fiorenza Giorgi che, da questa mattina, il pool di legali dell’azienda sta analizzando attentamente per studiare la prossima mossa difensiva. Mentre questo “braccio di ferro” giudiziario-amministrativo va avanti, non bisogna dimenticare quello che accade fuori dai palazzi dove si sta consumando il dramma dei lavoratori. Quasi 500 persone (e relative famiglie) che, alla luce di questa decisione, vedono svanire la possibilità di una ripresa dell’attività in tempi rapidi e, di conseguenza, vedono il loro futuro sempre più incerto.