Cronaca

Stroncata da tumore a 12 anni: i periti del gip “scagionano” i medici, ma per i consulenti di parte civile ci fu “errata diagnosi”

Naomi Nardo

Savona. Non c’è prova che ci sia un nesso causale tra la presunta mancata diagnosi e la morte così come del fatto che ci sia stata imperizia da parte dei medici. E’ questo, in estrema sintesi, il senso delle conclusioni alle quali sono arrivati i due periti, Antonio Osculati dell’Istituto di medicina legale di Varese e Claudio Favre oncologo pediatrico all’ospedale di Pisa, nominati dal gip Donatella Aschero nell’ambito del procedimento per la morte di Naomi Nardo, stroncata a 12 anni da una grave forma tumorale.

Questa mattina in tribunale è stato discusso l’incidente probatorio durante il quale i due medici hanno esposto il risultato della loro perizia, che ha analizzato in dettaglio, anno per anno, l’evolversi della patologia, scatenata da un melanoma, che aveva colpito la piccola nel 2002 e nel 2010 l’ha uccisa all’ospedale Gaslini di Genova. In oltre due ore di udienza la coppia di esperti ha spiegato perché, secondo la loro analisi, nel caso di Naomi Nardo non è possibile riscontrare la prova dell’esistenza del nesso causale tra la condotta dei medici (ed eventuali imperizie da loro commesse) e l’evento morte. Condizione necessaria affiché sia contestabile il reato di omicidio colposo ipotizzato a carico di sette medici degli ospedali San Paolo e Gaslini.

La perizia di Favre ed Osculati avrebbe sottolineato che nel 2002, quando Naomi fu operata la prima volta, le conoscenze scientifiche non sarebbero state sufficienti per effettuare una corretta diagnosi della patologia che l’aveva colpita: un “nevo di Spitz atipico” come accertato in seguito. Una tesi che non è affatto condivisa dal perito nominato dall’avvocato Roberto Suffia, che tutela la famiglia della ragazzina, secondo cui invece i dottori che l’avevano in cura sarebbero stati in grado di poter fare la corretta diagnosi.

Nel capo d’imputazione (l’inchiesta è coordinata dal sostituto Chiara Maria Paolucci) vengono contestate ai medici alcune condotte che, di fatto, avrebbero portato ad un’errata diagnosi e non avrebbero impedito la morte della piccola paziente. In particolare la Procura contesta agli indagati di: non aver asportato totalmente la massa tumorale nel primo intervento chirurgico eseguito a Savona, di non aver previsto per Naomi accertamenti periodici e, ai sanitari genovesi, di aver atteso troppo prima di intervenire per cercare di rimuovere il tumore.

Adesso ogni decisione spetta al pubblico ministero che, sulla base dell’esito dell’incidente probatorio, dovrà decidere se chiedere l’archiviazione oppure disporre ulteriori accertamenti.

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