Savona. “Dedico la mia vittoria a mia moglie e mia figlia, senza dimenticare il caporale Erasmo Savino che, purtroppo, non c’è più e, in vita, non ha potuto gioire come oggi posso fare io”. Queste le prime parole di Gaetano Luppino che può finalmente esultare per una battaglia combattuta con la forza che nemmeno il cancro gli ha tolto e con la speranza che l’indifferenza mostrata dallo Stato che ha servito per anni non ha potuto scalfire.
Ieri la giustizia gli ha dato ragione, riconoscendo un collegamento diretto tra il suo male e le missioni in Kosovo e Bosnia cui ha partecipato, a contatto diretto con l’uranio impoverito, e condannando il Ministero della Difesa a riconoscergli il relativo indennizzo. Un riconoscimento che a tanti, prima di lui, è stato negato, e che ha il sapore di una riscossa per chi è morto tra l’indifferenza di chi avrebbe dovuto occuparsene.
“Sono stato ferito come professionista, come uomo e come padre di famiglia da una pubblica amministrazione che si è dimostrata peggiore del cancro – si sfoga il carabiniere, per anni in servizio presso la Compagnia di Savona – e che con me è stata negligente e ignorante. Oggi non posso che ringraziare gli avvocati che mi hanno assistito e pensare a chi invece è stato abbandonato dallo Stato”.
Gaetano si è battuto contro la decisione del ministero della Difesa che aveva respinto la sua domanda per vedersi riconosciuto il diretto collegamento tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgere del tumore e che non gli aveva riconosciuto l’indennizzo. Ieri mattina, la sentenza che si basa su una perizia molto chiara e che ha invece condannato il ministero a pagare al militare 150 mila euro.
Ora Gaetano, tutelato dagli avvocati Sergio Acquilino e Mario Noberasco, chiederà anche un risarcimento danni, anche e soprattutto morali, per una lotta durata 4 anni e che lo ha portato a dover sostenere spese importanti per curarsi e per far valere i propri diritti.
Il vicebrigadiere savonese tra il settembre 2003 e l’aprile 2004 è stato in missione in Bosnia e in Kosovo con la Msu, la Multinational Specialized Unit, la forza di polizia che aveva compiti di lotta al crimine organizzato e al terrorismo. Al ritorno, come previsto dal protocollo Mandelli, è stato sottoposto a visite mediche regolari, fino a quando, nel dicembre 2008, gli è stato diagnosticato un tumore alla pelle. Alla fine, gli è stata riconosciuta un’invalidità del 77%, non può più svolgere le mansioni come sovrintendente della radio mobile come ha sempre fatto, e conseguentemente gli è stato decurtato lo stipendio.
Da allora la sua missione è stata quella di vedersi riconosciuta la causa di servizio e ricordare i colleghi morti dopo aver servito lo Stato.