Le famiglie italiane nel 2013 spenderanno 3 miliardi di euro in meno per l’acquisto di vestiti e calzature, rispetto all’anno scorso. La riduzione stimata, pari al 5%, si va ad aggiungere al dato negativo del 2012 (-10,2% pari a -6,8 miliardi), per raggiungere quasi 10 miliardi.
Secondo le rilevazioni della Federazione italiana del settore moda di Confesercenti (Fismo) la quota delle famiglie dedicata al vestiario in 20 anni è stata dimezzata, passando dal 13,6% del pil nel 1992 al 7,1% del 2012.
A gennaio, ricorda l’associazione, nonostante i saldi invernali è stata registrata una riduzione del 4,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un calo consistente e prolungato, che “mette a rischio la storica rete italiana di negozi di abbigliamento tradizionali”. Per il settore da 66,5 miliardi (54,5 miliardi abbigliamento e 12 miliardi calzature e accessori) rischia di non sopravvivere ad una “emorragia gravissima”.
In parte, secondo Fismo, il processo di revisione della spesa destinata all’abbigliamento “è dovuto senz’altro a motivi culturali: il concetto stesso di status symbol, che una volta includeva spesso e volentieri particolari capi di vestiario, anche importanti, sembra ormai essersi spostato in verso i prodotti tecnologici”. Tanto che la revisione della spesa da parte delle famiglie è iniziata ben prima della crisi, anche se a ritmi più contenuti: tra il 2000 e il 2011 si sono persi “solo” 6 miliardi di euro. Una tendenza che però si è aggravata nel periodo di difficoltà.
Secondo la stima di Fismo nel 2013 potrebbero chiudere 21.000 negozi nel settore dell’abbigliamento. Nel primo bimestre dell’anno si sono abbassate 3.482 saracinesche del tessile e dell’abbigliamento. Tra nuove aperture e chiusure il saldo negativo è di 2.767 unità, un numero destinato a lievitare nel trimestre a quota 4.150 attività. Se il trend si dovesse confermare il saldo negativo, a fine anno, arriverà a 16.684 esercizi. La causa principale, secondo la federazione, “è chiaramente la riduzione della spesa degli italiani; ma sulle imprese pesano anche la pressione fiscale molto alta e il caro-affitti”.
Ad incidere, inoltre, è anche “l’eccesso di concorrenza: da un lato, dell’industria della contraffazione moda, che fa perdere al settore 12 miliardi l’anno; dall’altro, quella dei siti di ‘saldi privati’ online e dei factory outlet, che sostanzialmente praticano promozioni per tutto la durata dell’anno”. L’insieme di questi fattori “sta erodendo, grazie alla concorrenzialità del principio anti-economico del ‘sotto-costo’, quote ai restanti canali di distribuzione”, osserva Fismo. Nel 2012 attraverso l’e-commerce e i factory outlet, combinati, è passata una spesa di 1,6 miliardi.
La crisi, secondo le rilevazioni della Fismo, colpisce tutta l’Italia. E nemmeno le tre capitali della moda italiane, Milano, Firenze e Roma, sfuggono alla desertificazione. Entro la fine dell’anno, nel comune di Milano 342 negozi di abbigliamento chiuderanno senza essere sostituiti. A Firenze il saldo sarà negativo per 132 unità. Ma la perdita più grave si registrerà nel territorio di Roma capitale, dove spariranno 750 negozi di moda: più di due al giorno. In totale, nelle tre città, il saldo complessivo sarà in rosso di 1224 imprese.