Cronaca

Tributi Italia, per il gip di Chiavari un “meccanismo infernale”: giro di denaro nelle tasche di Saggese

aula tribunale

Liguria. Un ‘meccanismo infernale’. Così il gip del Tribunale di Chiavari ricostruisce nell’ordinanza il caso giudiziario di Tributi Italia che ha portato in carcere l’amministratore Giuseppe Saggese, il quale avrebbe costruito una fonte inesauribile di denaro per le sue casse.

In sostanza, Tributi Italia conferiva incarichi specifici a società fondate da lui, e i cui consigli di amministrazione erano presieduti di volta in volta dalla sua segretaria, da figli di soci, guardie del corpo, domestiche e autisti, società che venivano pagate da Tributi Italia la quale a sua volta percepiva cachet di molti milioni di euro.

Questo meccanismo funzionava grosso modo per tutte le società che avevano come socio occulto lo stesso Saggese. In definitiva il denaro riscosso dai cittadini, mascherato da introito per consulenze, veniva raccolto da Tributi Italia, fatto girare su altre società e infine tornava sotto altra causale nelle tasche di Saggese. Per fare un esempio, la Ife, satellite di tributi Italia, ha corrisposto a Saggese in due anni una cosa come oltre 6 milioni di euro per finte ‘consulenze’.

Saggese era inoltre indagato da tempo anche dalla Procura di Catania. Per lui, e altri due ex amministratori e rappresentanti legali di Tributi Italia, Pasquale Froio, di 56 anni, di Benevento, e Vito Paolo Mori, di 64, di Barletta, la magistratura etnea ha chiesto il rinvio a giudizio per peculato ai danni di 12 Comuni etnei. Il provvedimento è stato firmato dal procuratore capo Giovanni Salvi, dall’aggiunto Michelangelo Patané, e dai sostituti Alessandro La Rosa e Angelo Busacca. Saggese, in qualità di amministratore di fatto della società, e gli altri due imputati dovranno comparire davanti al Gip Alessandro Ricciardolo nell’udienza preliminare fissata per il 10 ottobre prossimo.

I tre sono accusati dalla Procura di Catania di avere accertato e riscosso spettanze e tributi di 12 Comuni della provincia etnea senza versarle, fino alla data dell’accertamento, all’Ente pubblico. L’inchiesta è stata avviata dopo le denunce di diversi sindaci nel 2009. Il danno complessivo stimato dalla magistratura è di circa 1,8 milioni di euro.

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