Savona. Gli uomini di mare amano i silenzi, forse ricordo atavico della solitudine che imponevano i grandi viaggi oceanici su bastimenti a vela con equipaggi ridotti all’osso… Difficile scovare un marinaio ciarliero, ma, se si riesce a trovarlo del giusto umore, quanti aneddoti si possono ascoltare!
Eccoci a Savona, la città di Leon Pancaldo, uno dei nocchieri di Ferdinando Magellano nella prima circumnavigazione del mondo, in un bar della graziosa darsena, invasa dall’imponenza della bianca nave passeggera attraccata alla banchina più lontana, troppo maestosa per inchinarsi alla libecciata che infuria al di là del molo.
Siamo qui con un lupo di mare, non è un marinaio, ma ne ha le stigmate: sembra sia nato per cavalcare le onde, dominando la tavola da windsurf! Matteo Iachino ha l’anima zingara tipica dei surfisti, ancora giovanissimo (ventitré anni) ha già gareggiato nei mari più remoti, dalla Corea del Sud (a Jinha Beach) ai Caraibi ed il suo palmares è ricchissimo di vittorie: le più recenti ad Hyerès, in Costa Azzurra (Campionato Svizzero), ad Andora (Coppa Italia slalom) e la più bella a Roses, in Costa Brava, vicino all’incantevole Cadaques, tanto cara a Salvador Dalì, dove s’è laureato Campione d’Europa.
Dove nasce questa tua passione?
“Mio padre pratica questo sport da prima ch’io nascessi e quindi fin da bambino vedevo lui ed altri windsurfisti uscire in mare anche nelle condizioni di tempo più estreme, tra mareggiate e fredde tramontane. Ne sono rimasto affascinato ed ho imparato a conoscere cosa è la vera passione, cercando di trasformarla via via nella mia professione. Ho iniziato a 10 anni, crescendo fra windsurf e surf (che adoro ugualmente) e non ho più potuto smettere, abbinando, da piccolo, pratica e ricerche, scoprendo che era stato un ingegnere spaziale californiano ad ideare questo sport nei mitici anni ’60”.
Che differenze ci sono tra surf e windsurf?
“Sono due sport nati per vivere il mare e li sento entrambi un po miei… L’adrenalina e la sintonia con l’ambiente che ti circonda sono molto simili, sebbene in effetti siano distinti, l’uno con molte discipline, come la velocità, i salti e le surfate, sfruttando principalmente il vento, ma anche le onde, mentre l’altro utilizza la sola forza del moto ondoso”.
Prima parlavi delle ricerche fatte da ragazzo.
“Sì, ricordo le letture sui grandi navigatori, quando – fra i racconti di James Cook – incappai in una sua descrizione degli indigeni polinesiani che cavalcavano le onde, provando sublimi emozioni. Spesso in gara mi immedesimo nei sogni ad occhi aperti che facevo allora”.
Raccontaci di come sei riuscito ad arrivare a questi livelli.
“Ho detto prima della forza di volontà che mi ha spronato dall’inizio ed i risultati attuali sono frutto di estenuanti allenamenti, anche e soprattutto d’inverno, nelle più svariate condizioni meteorologiche, proprio per abituarmi alle differenti condizioni climatiche che si devono affrontare nelle gare, con venti, correnti ed onde dalle caratteristiche completamente diverse”.
Questo ha condizionato i tuoi studi?
“Fino alla maturità ho messo la scuola al primo posto degli impegni, trovando però una giusta mediazione. Poi le cose sono un po’ cambiate e la possibilità di vivere facendo ciò che amo è diventata più concreta. Solo allora ho iniziato a mettere al primo posto allenamenti e gare, sebbene mi sia iscritto all’Università di Genova alla facoltà di Economia Marittima e mi manchino ormai solo pochi esami alla laurea”.
Quale paese, in giro per il mondo, ti è rimasto impresso maggiormente ?
“Recentemente ho gareggiato in Corea e devo dire che Seoul è una città con una doppia facciata, in parte iper tecnologica (ndr, tanto da rappresentare il simbolo di quello che viene definito il ‘Miracolo del fiume Han’, proprio in riferimento ai progressi dell’economia sud coreana in questi ultimi decenni) ed altrove alquanto arretrata. Bellissimo passeggiare in vicoli pedonali stracolmi di gente, con scritte luminose di cui non capisci assolutamente il significato, magari cercando qualcosa di ‘normale’ da mangiare, possibilmente diverso dalle anguille e pesci strani che appaiono nelle vetrinette dei ristoranti”.
Obiettivi?
“I risultati dei primi nove mesi dell’anno sono stati buoni, al punto da farmi capire che se ci s’impegna a fondo in qualcosa in cui si crede, si può riuscire a fare tante cose… Ma il vero obiettivo è vivere il giorno che arriva, nel senso di apprezzarlo nelle sue sfaccettature positive, cogliendo tutte le occasioni che si presentano, sia in gara che nella routine giornaliera, sempre in armonia con me stesso”.
Claudio Nucci