Cronaca

Robert Kubica, il primario del Pronto Soccorso del Santa Corona: “L’organizzazione del Trauma Center ha fatto la differenza”

Pietra Ligure. Quel 6 febbraio 2011 Robert Kubica era giunto in pronto soccorso in condizioni allarmanti, per il braccio e la gamba martoriati, per la tremenda emorragia che ne stava compromettendo le funzioni vitali. La tempestività e l’azione del dipartimento di urgenza del Santa Corona di Pietra Ligure si sono rivelate determinanti per la sopravvivenza stessa del pilota polacco e per la sua ripresa. Dopo lo schianto al rally Le Ronde di Andora, al volante di una Skoda S2000 e contro il guard-rail che aveva trafitto l’auto come una lama, Kubica era finito anzitutto sotto le cure del team coordinato dal dottor Walter Cataldi.

“Quando è arrivato qui era in condizioni davvero critiche. Grazie però ad un fisico giovane e da campione ha reagito bene, il tutto combinato con l’azione pratica e organizzata dell’ospedale – sottolinea il direttore della Medicina d’Urgenza e del Pronto Soccorso di Pietra – Il nostro obiettivo è semplice: vogliamo fornire la stessa assistenza a chi subisce un incidente alle tre di notte di ferragosto e a chi lo subisce un lunedì mattina o un giorno feriale. Mettiamo insieme tutte le professionalità. La differenza che sta nel nostro servizio organizzato come Trauma Center è nella disponibilità, 24 ore su 24, di queste competenze”.

“Il pronto soccorso fa da punto di riferimento ad un tipo di lavoro che coinvolge tutto l’ospedale – prosegue il dottor Cataldi – Se un paziente riporta un trauma grave, e nel caso di Robert Kubica era gravissimo, i primissimi minuti sono d’oro: tutto si moltiplica e si amplifica rapidamente. Conta dunque l’organizzazione. Penso veramente che in quella situazione siamo riusciti a recuperare tempo preziosissimo; in una struttura non organizzata come centro traumi non sarebbe andata altrettanto bene. Un attrezzo, un farmaco, un professionista devono essere lì proprio dove servono e nel momento in cui sono necessari”.

“Un pronto soccorso come il nostro prevede fasi di accelerazione in cui tutte le competenze, in team, su avvertimento infiermieristico e input del 118, scattano in modo coordinato. Il pronto è la direzione d’orchestra si può dire per ogni strumentista che già deve sapere il suo spartito” aggiunge il dottor Walter Cataldi.

Ricoverato al Santa Corona, il driver polacco vi era rimasto oltre settanta giorni, sottoponendosi a delicati interventi all’arto superiore soprattutto, per la ricostruzione, sotto i ferri del professor Igor Rossello. Poi il lungo e sofferto periodo di riabilitazione, nel quale Kubica ha mostrato una reattività e una forza d’animo non comuni. Tanto che il campione dopo 18 mesi di calvario, non ancora ventottenne, è tornato a gareggiare nel rally; ha appena vinto la terza edizione della Ronde del Gomitolo di Lana a Biella e sabato scorso è stato anche protagonista di un fuori pista (per fortuna senza conseguenze) a San Martino di Castrozza. L’obiettivo di ritornare alla guida di una monoposto sembra vicino.

Fondamentale, all’epoca dell’incidente nelle curve andoresi, anche il sangue che ha scongiurato i pericoli dell’emorragia. Tanto che poi Kubica ha prestato il volta alla campagna per la donazione dell’Avis. “Senza quei litri di plasma e quei globuli rossi e senza i donatori e i trasfusionisti, le cose ora sarebbero diverse – commenta il dottor Cataldi – Quel giorno il sangue era disponibile, senza bisogno di scongelarlo: quando è arrivato il pilota, tutto è andato bene. Poi, dai chirurghi della mano agli ortopedici ai plastici, lo staff ospedaliero ha fatto il resto”.

“Per noi vedere Kubica tornare in Formula 1 sarebbe una vittoria. Già c’è la soddisfazione di vederlo di nuovo impegnato a correre. All’inizio ci sono stati momenti flebili di speranza, sia di vederlo vivo sia di vederlo muoversi. Si è ribaltata completamente la situazione” conclude il direttore del Pronto Soccorso del Santa Corona.

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