Economia

Pensioni, “contributi silenti”: la battaglia di Spi ed Inca Cgil

sciopero

Liguria. Una raccolta firme, una lettera ai parlamentari liguri e un contenzioso con l’Inps sono le azioni messe in campo da Spi e Inca Cgil che questa mattina hanno illustrato alla stampa l’effetto della manovra del Governo sui cosiddetti contributi silenti.

Le norme previdenziali approvate nel 2011 sono intervenute su una serie di diritti acquisiti negli anni, che le precedenti riforme avevano sempre salvaguardato. Un esempio è quello delle tante lavoratrici e casalinghe che, cessata l’attività lavorativa, negli anni hanno versato volontariamente i contributi previdenziali all’Inps per raggiungere il diritto alla pensione, diritto che si otteneva con 15 anni di contributi.

Nel 1993 le varie riforme pensionistiche hanno stabilito che chi aveva raggiunto i 15 anni entro il 1992 o chi entro la suddetta data aveva iniziato a versare i contributi volontari manteneva i 15 anni. Ora l’Inps chiede a questi cittadini 20 anni di contribuzione, anziché 15, obbligando chi può ad ulteriori ed onerosi versamenti pena la perdita del diritto e dei soldi a titolo lavoratori o volontario versati sino ad oggi.

In sostanza chi si è ritirato dal lavoro con 15 anni di contributi accreditati entro la fine del ‘92, o addirittura li ha raggiunti versando contributi volontari, non potrà più andare in pensione e quei contributi saranno “persi” o meglio, non daranno diritto ad alcuna pensione (contributi silenti). L’unica possibilità è versare altri 5 anni di contributi volontari e attendere il compimento dell’età richiesta (ma sembra difficile visto che si tratta di donne che hanno da tempo cessato di lavorare e di persone avanti con l’età impossibilitate a riprendere una eventuale attività lavorativa).

Inoltre, anche per le persone che hanno 20 anni di anzianità contributiva, è stata innalzata in modo smisurato l’età per andare in pensione, a 66 anni per le lavoratrici dei settori pubblici e a 62 anni per quelle dei settori privati, che diventeranno 66 nel 2018.

Sono modifiche che avranno effetti drammatici sulle persone, in gran parte donne, che hanno cessato di lavorare nella convinzione di aver acquisito l’anzianità contributiva minima per accedere alla pensione di vecchiaia. Per la prima volta, dal 1992, sono stati aboliti diritti fin qui rispettati.

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