Terremoto L’Aquila e ricostruzione: se ne parlerà alla Festa dell’Inquietudine

Festa_Inquietudine

Finale Ligure. Si avvicina la quinta Festa dell’Inquietudine, in programma da venerdì 1 a domenica 3 giugno a Finalborgo. Nel pomeriggio di domenica ci sarà spazio per gli ospiti aquiliani e per il progetto “EVA” (case di paglia): se ne parlerà con Eros Achiardi, che illustra come segue.

“Tre anni dopo il terremoto, percorrendo le vie del centro storico de L’Aquila si ha l’impressione che la città sia rimasta forzatamente immobile. Dopo la tempestiva costruzione delle ‘new town’, ovvero dei progetti C.A.S.E e dei Map promossi dal governo Berlusconi, per molti aquilani è stata soddisfatta la necessità di avere un tetto, ma non si è minimamente realizzata la maggiore esigenza degli aquilani: la ricostruzione di un tessuto sociale. In questo contesto, le donne aquilane hanno avuto  un ruolo chiave nella rinascita della città.

Tra gli ospiti della Festa dell’Inquietudine, che riceveranno il prestigioso premio ‘Inquieto dell’anno’ in rappresentanza dei cittadini aquilani, spiccano due donne ‘resistenti’, che negli ultimi tre anni hanno saputo convertire la loro rabbia in progetti concreti, sia di riqualificazione ambientale che di ‘narrazione’ della stessa.

Anna Barile è una delle donne che hanno esercitato maggiore ‘resistenza’ verso quella che è stato percepita come una ‘strategica divisione sociale’: trasferita da L’Aquila a Camarda, a 20 chilometri dal centro cittadino, dopo l’assegnazione di un appartamento del progetto C.A.S.E. per lei, il compagno Paolo e sua madre, Anna ha deciso di prendersi cura di un terreno salvato dall’esproprio all’interno della nuova area abitativa, creando un vero e proprio “giardino sociale”, un luogo di incontro che gli abitanti della zona possono sentire davvero proprio. Settimane di lavoro per sistemare l’area, piantare nuovi alberi, costruire uno spazio accogliente nell’anomimo contesto edilizio. L “Orto insorto” è diventato un punto di riferimento nella ‘new town’, e soprattutto l’occasione per un passaggio di valori tra generazioni: sono i bambini i frequentatori più assiduo dell’orto insorto, perché possono giocare, conoscere, creare, imparare insieme ad Anna il rispetto per l’ambiente, per l’uomo, per le tradizioni più sane.

Il cortometraggio ‘Anna’, realizzato dalle allieve dell’Accademia dell’immagine Martina Spadano e Sara Ranucci, racconta il vissuto quotidiano di Anna, i suoi percorsi nel centro storico fantasma alla ricerca delle tracce della passata vitalità della città, le sue frequenti incursioni nella sua casa distrutta dal sisma, la sua vitale inquietudine tra le mura della sua nuova abitazione e il ‘risveglio’ nell’orto insorto di Camarda.

Non si tratta di un semplice ‘documentario’, ma di un riuscito esempio di ‘cinema del reale’, in cui i personaggi autentici sono protagonisti di una narrazione organica, e non semplici testimoni intervistati. La ‘messa in scena’ di eventi ricorrenti nella quotidianità di Anna non toglie ‘verità’ agli episodi mostrati, ma permette di cogliere l’autenticità dei rapporti e delle emozioni con efficacia ed essenzialità.

Martina Spadano e Sara Ranucci sono due tra i tanti giovani filmaker che negli ultimi tre anni si sono impegnati per raccontare l’Aquila del dopo terremoto e i suoi abitanti senza retorica né intenti ‘dimostrativi’, attenti a cogliere le spinte vitali dei suoi abitanti e il loro disagio ‘a lungo termine’.

Tra le donne che hanno contribuito maggiormente alla costituzione di un modello di abitazioni alternativo a quello degli ‘alienanti’ progetti C.A.S.E vi è Isabella Tomassi, laureata in filosofia. Originaria de L’Aquila, dopo il sisma è stata trasferita in un albergo sulla costa, «ma ho resistito due settimane. Avrei voluto organizzare delle assemblee per sensibilizzare gli aquilani, approfittando del fatto che eravamo sostanzialmente tutti lì: ma gli albergatori, forse intimoriti, non ci hanno mai messo a disposizione gli spazi per farlo». Così decide di traferirsi con il suo compagno Ludovic a Pescomaggiore, comune di montagna che conta 44 abitanti, in una casa del Villaggio Eva, un progetto di bioarchitettura solidale nato sulle macerie del terremoto.

La storia del villaggio inizia nell’estate del 2009, quando un gruppo di abruzzesi, davanti all’incertezza nella sistemazione degli sfollati, decide di fare da sé, quindi di costruire un gruppo di case ‘ecologiche’. Convinti sostenitori della bioedilizia, decidono di puntare su una tecnologia costruttiva poco conosciuta in Italia ma già sperimentata all’estero: le case in legno e paglia, che hanno il vantaggio di essere economiche, durevoli e antisismiche. Nasce così il progetto EVA (ecovillaggio autoricostruito).

Attraverso una raccolta fondi online e una campagna di ricerca volontari qualificati per aiutare con la costruzione, arrivano donazioni per 140 mila euro e volontari da un po’ tutta Europa. I tre architetti che hanno elaborato il progetto – Fabio Robazza, Fabrizio Savini e Caleb Murray Burdeau – contribuiscono al progetto in cambio del solo rimborso spese.

Da allora Isabella Tomassi, attraverso l’associazione Misa, si occupa di coordinare i lavori di ricostruzione e fare in modo che il piccolo villaggio di Pescomaggiore possa dotarsi delle strutture necessarie. Al di là degli aspetti tecnici, non si tratta solo di alloggiare, ma di “abitare”, di condividere alcuni aspetti della propria vita in una sorta di ‘condominio orizzontale’. Di reinventare un nuovo tessuto sociale”.

Eros Achiardi

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