Alassio. La fede come arma contro quelle che considera falsità e un po’ d’amaro in bocca verso una giustizia che, almeno per ciò che concerne il suo caso, si sarebbe mostrata cieca. Questo lo stato d’animo di don Luciano Massaferro, il parroco alassino condannato a 7 anni e 8 mesi di reclusione per aver abusato di una minore, il quale, dalle pagine del sito a lui dedicato (www.donluciano.org) scrive ai suoi fedelissimi, mentre è sottoposto al regime dei domiciliari, ripercorrendo la propria vicenda giudiziaria.
Ecco alcuni passi tratti dalla missiva: “Alcuni giorni fa – scrive don Luciano – dopo due mesi di attesa, sono state pubblicate le motivazioni della Sentenza di II Grado, emesse dalla I Sezione della Corte Penale presso il Tribunale di Genova. Ho sempre detto che le sentenze dei Tribunali non si commentano ma si accettano per cui nemmeno questa volta scenderò nello specifico e, ad essere sincero, la cosa non mi dispiace per nulla in quanto troverei difficoltà nel confrontarmi con un racconto che, come era prevedibile, non essendoci prove a mio carico, si risolve in una costruzione di tipo aprioristico. Probabilmente in un prossimo futuro valuterò con maggiore attenzione lo scritto; per ora mi sono limitato ad usare il metodo adottato dal Pubblico Ministero in sede di Appello, cioè ho spulciato qua e là le ventiquattro pagine”.
“Del resto in questi giorni parlare dello stato in cui versa l’amministrazione della Giustizia nel nostro paese sarebbe un’operazione decisamente impietosa – prosegue il sacerdote – Vi confido che osservare i servizi televisivi nei quali i Magistrati sfilavano in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, addobbati con pellicce e abiti pittoreschi, con un lento incedere, cadenzato e solenne, contrastava alquanto con la realtà che ho incontrato, fatta di detenuti segregati in pochi metri quadrati, in carceri che assomigliano più alle gabbie delle galline in produzione intensiva che a dimore destinate ad ospitare esseri umani”.
Sono stati due anni duri per don Luciano Massaferro: da quel 29 dicembre 2009, quando è stato arrestato e immediatamente carcerato, dopo che un’undicenne ha raccontato di essere stata molestata in almeno tre casi dal sacerdote della parrocchia di San Vincenzo Ferreri. “Forse il segreto per non agitarsi in questo mondo, tutto dedito all’apparire a discapito dell’essere, sta nell’andare oltre le voci, le calunnie, le fantasie e restare ancorati alla salda realtà dei fatti – sostiene nero su bianco – Quando una persona è serena, in pace con se stessa, libera da condizionamenti e tranquilla nella propria coscienza credo riesca a vivere bene al di là di quanto gli altri possano pensare, dire o fare. Sono sempre stato convinto (e continuo ad esserlo) che prima o poi l’evidenza della realtà verrà riconosciuta: è solo una questione di tempo e quindi necessariamente di pazienza”.
“Vorrei infine condividere con voi un’ultima riflessione. Da quando è iniziata la vicenda che mi ha visto inerme spettatore, data la mancanza di riscontri concreti, si sono formate due linee di pensiero che per loro natura si trovano agli antipodi, anche perché ovviamente davanti a un’accusa come quella che mi è stata fatta non ci sono posizioni di mezzo, ci si deve necessariamente schierare. Fino a questo punto nulla da obiettare. Il problema a mio modesto avviso nasce subito dopo, quando ci si chiede in base a quale motivazione una persona razionale debba pronunciarsi a favore o contro di me. Dico questo perché ho scoperto che le persone, nella maggioranza dei casi, fondano la loro opinione su pre-concetti. Cerco di spiegarmi meglio”.
“Chi pensa che io sia colpevole del reato di molestia sessuale ragiona in questo modo: ‘il racconto di una minore, anche se incostante, in contrasto con riscontri concreti e relativo ad un solo pomeriggio esiste, lui è un prete e quindi sono convinto della colpevolezza’. Coloro invece che si schierano per l’innocenza si muovono pressapoco così: ‘è una delle solite storie che poi finiscono nel nulla, tipiche di questo paese, del resto non ci sono riscontri, conosciamo come funzionano le cose in Italia e poi ho stima dei preti’. A parte ci sono anche coloro che mi conoscono; da essi è subito emersa la posizione a mio favore in quanto nata dalla lunga frequentazione con il sottoscritto”.
“Insomma, alla fine della storia la mia vita deve dipendere dalla simpatia o dalla antipatia che suscita nelle persone il mio essere sacerdote. Fatte poche eccezioni, la maggioranza degli individui dunque prende posizione al di là della lettura delle carte processuali (…)”. E conclude: “Mi piacerebbe che l’assurda storia che mi vede coinvolto fosse anche l’occasione di una crescita umana, morale e spirituale per tantissime persone”.