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Calderina killer in via Nizza: assolta la moglie della vittima, condannati il figlio e altre 5 persone

Savona Tribunale

Savona. Sei condanne ed un’assoluzione. Come da previsione, questa mattina, in Tribunale a Savona è arrivata la sentenza nel processo per la morte di Livio Cerullo, che venne ucciso il 23 dicembre del 2003 dal monossido di carbonio fuoriuscito da una calderina installata nell’appartamento di via Nizza a Savona dove viveva assieme alla moglie. Gli imputati sono stati tutti condannati, compreso il figlio della vittima, Fabio, tranne che lavedova di Livio Cerullo, Rosanna Silombria, che è stata assolta per non aver commesso il fatto.

Le condanne per gli imputati sono state di dieci mesi di reclusione per i fratelli Angelo e Piergiorgio Salati (i proprietari della casa) e di otto mesi di reclusione per il figlio di Cerullo (ex dipendente della ditta per la manutenzione della calderina che secondo l’accusa si era occupato della revisione dell’apparecchio installato a casa dei genitori), per Roberto Perata (anch’esso dipendente della ditta di manutenzione), per Giovanni Cravero (titolare della ditta a cui i proprietari degli alloggi avevano dato mandato per la manutenzione) e per Franca Salati (anche lei proprietaria dell’alloggio insieme ai fratelli). Tutti dovevano rispondere dell’accusa di omicidio colposo in concorso. E’ invece caduta l’accusa di lesioni nei confronti della parte offesa, Rosanna Silombria (che insieme era imputata e vittima a sua volta), perché la querela è stata ritirata visto che, da qualche settimana, è finalmente arrivato un risarcimento danni. Il giudice ha quindi emesso una sentenza di non luogo a procedere.

Il pubblico ministero, nella scorsa udienza, aveva chiesto un anno per Angelo e Giorgio Salati, 9 mesi per Franca Salati, Roberto Perata, Fabio Cerullo, Giovanni Cravero, e infine 5 mesi per Rosanna Silombria (imputata come “conduttrice” dell’appartamento, e al tempo stesso parte civile per le conseguenze dell’intossicazione e come vedova della vittima).

Nel corso di una delle ultime udienze, il figlio dell’uomo, ex dipendente della ditta Cravero, che oltre al dramma per la perdita del padre (la madre se la cavò per un pelo) deve ora subire un processo che lo vede accusato in concorso della responsabilità per la morte del padre, aveva cercato di dimostrare con documenti e buste paga alla mano che non era più dipendente della ditta Cravero in quanto licenziato prima del fatto, e che il numero di serie fornito dall’azienda per l’attività di manutenzione dell’alloggio risultava diverso da quello che invece certificava il suo lavoro. Per lui però è arrivata comunque la condanna.

Soddisfazione è stata espressa dai legali della moglie della vittima, gli avvocati Elena Negri e Marisa Ferrero, che hanno commentato: “Fortunatemente è stata dimostrata l’assoluta estraneità della nostra assistita. Un dato che tra l’altro era già emerso nel corso dell’udienza preliminare. Inoltre dopo molti anni di attesa finalmente è anche arrivato il risarcimento per la nostra cliente”.

Tutto il processo ha ruotato intorno all’accertamento sulla reale responsabilità nella manutenzione della calderina, in uno stabile che aveva da poco cambiato la tipologia di impianto per il riscaldamento. Stando agli atti del dibattimento l’incidente sarebbe stato provocato da un tappo che si era formato nella canna fumaria in quanto la caldaia dell’abitazione non aveva i requisiti per la combustione a gas metano. La storia di questo processo è stata piuttosto lunga e complessa: la sentenza di oggi infatti non è la prima. Una sentenza di assoluzione per gli imputati era già arrivata anni fa ma la Procura Generale si era opposta e la Cassazione aveva fatto tornare il procedimento in udienza preliminare per essere ripetuto.

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