Festa Patronale di Savona: l’omelia del vescovo Lupi

Festa Patronale di Savona

Savona. Monsignor Vittorio Lupi ha incentrato l’omelia della Festa Patronale sulla “strada”, come luogo di incontro, partendo proprio dal percorso compiuto ogni 18 marzo dai tanti pellegrini savonesi verso il luogo dell’apparizione mariana. “Lo scorso anno, venendo in pellegrinaggio al santuario chiedevamo a Maria di indicarci gli altri santuari della nostra vita… Vogliamo quest’anno contemplare quello che unisce tutte queste realtà, quello che permette loro di essere in comunicazione, che permette agli uomini di incontrarsi, il luogo più frequentato da tutti: la strada appunto”.

Un’omelia più breve rispetto a quella dello scorso anno, ma ugualmente intensa, che ha catturato i tanti fedeli presenti in piazza della Basilica concentrandosi su un tema non certo scontato, ma proprio per questo efficace anche nei forti richiami evangelici.

“La strada è come il cielo, il cielo è il cielo di tutti, le stelle sono le stelle di tutti, le strade sono le strade di tutti. Nella strada si è svolto l’apostolato di Gesù: si, Gesù entrava anche nelle case, insegnava anche nel tempio, ma la maggior parte del suo apostolato si è svolto sulla strada. Gli incontri più belli e più significativi si sono svolti sulla strada”.

Di seguito il testo integrale dell’omelia di monsignor Vittorio Lupi che potrete trovare anche sul prossimo numero del mensile diocesano “Il Letimbro”.

E’ sempre bello ritrovarci attorno alla Madre noi tutti assieme: la comunità civile, la comunità ecclesiale, la popolazione tutta, in questo momento di grande partecipazione, ma, al tempo stesso, di grande raccoglimento, di grande rapporto personale di ognuno di noi con Maria, perché sentiamo di essere di fronte a quella Mamma che conosce direttamente ciascuno di noi, che ci ha sempre seguiti nelle nostre vicende personali, gioie, dolori, difficoltà, esercitando su ciascuno di noi la sua protezione, il suo sostegno, una Madre che ci ama di un amore tenerissimo.

E al tempo stesso siamo qui davanti a lei tutti insieme, come popolo savonese, da Lei prediletto, come ha dimostrato lungo tutta la storia di questa città. E’ questo il momento in cui, più di tutti, la città tutta si sente una grande famiglia che trova il suo centro, la sua più vera identità, e, più ancora, il suo “cuore”, come altre volte abbiamo detto. Ed è al cuore di ciascuno che sempre, ma soprattutto in questa circostanza, intendo parlare.

Siamo partiti in pellegrinaggio, ognuno attratto da un affetto particolare, da un ricordo, da una devozione, da una tradizione, da un sentimento che ci lega a Maria, e ci siamo ritrovati in tanti, insieme, a percorrere la stessa strada.
Questo pellegrinaggio è il segno della nostra vita: un percorso individuale che tuttavia facciamo insieme: individuale perché ognuno ha una storia, una realtà, dei sentimenti, delle aspettative diverse; insieme perché nessuno può prescindere dagli altri, può vivere come un’isola, può disinteressarsi alle realtà che ci riguardano tutti, e perché Maria ha dimostrato di amarci tutti e di intervenire per tutti.

In questo cammino quello che ci unisce è la strada, quella strada che abbiamo percorso per venire qui. Già lo scorso anno, venendo in pellegrinaggio al santuario chiedevamo a Maria di indicarci gli altri santuari della nostra vita: e avevamo visto che erano santuari, cioè luoghi ove possiamo vivere la nostra fede: la scuola, i luoghi della cosa pubblica, l’ospedale, le associazioni di volontariato, la famiglia.

Vogliamo quest’anno contemplare quello che unisce tutte queste realtà, quello che permette loro di essere in comunicazione, che permette agli uomini di incontrarsi, il luogo più frequentato da tutti: la strada appunto.
Spesso la strada ci da un senso di disagio: le percorriamo sovente con passo affrettato, le strade sono spesso congestionate da un traffico convulso, simbolo dell’inquietudine dell’uomo.

La strada è il luogo dei senza dimora, luogo di tutti e di nessuno, luogo della non appartenenza e della non protezione.
Ognuno di noi, vescovo, prete o laico è mandato sulla strada perché la strada è il luogo dell’incontro, quello in cui siamo un po’ tutti uguali: siamo mandati sulla strada e non solo nel tempio, o nella casa. Gesù non ci ha detto, chiamate tutti gli uomini a voi, o aspettateli al tempio, ma ci ha detto: andate in tutto il mondo.

Il tempio, come la casa sono rassicuranti: ci sono gli orari, il rito è stabilito, i ruoli sono quelli codificati da sempre. Nel tempio e in casa ci si sente un po’ padroni. Nella strada no, la strada è di tutti, regno del rumore, ma anche della sorpresa, degli incontri imprevisti, a volte brevi, ma non per questo meno significativi.

La strada è come il cielo, il cielo è il cielo di tutti, le stelle sono le stelle di tutti, le strade sono le strade di tutti.
Nella strada si è svolto l’apostolato di Gesù: si, Gesù entrava anche nelle case, insegnava anche nel tempio, ma la maggior parte del suo apostolato si è svolto sulla strada. Gli incontri più belli e più significativi si sono svolti sulla strada.
Sulla strada un giorno, il giorno stesso della sua risurrezione, si è accompagnato a due uomini che erano rimasti delusi da Lui, o meglio, dalla sua sorte: avevano sperato tanto che potesse restaurare il regno d’Israele e invece era morto tragicamente, come ogni altro uomo, anzi, era morto in croce come un qualsiasi delinquente, senza dare segno dei suoi poteri e della sua divinità.

Lungo il cammino questo sconosciuto comincia a dialogare con loro, sui motivi della loro delusione e gradualmente, man mano che vanno avanti, li aiuta a leggere questa esperienza illuminandola con la Parola di Dio; pian piano questi discepoli sentono ritornare in loro la fiducia e la speranza, diranno infatti poi: “non ci ardeva forse il cuore nel petto quando Egli ci parlava?” E’ tanta la gioia di trovare il senso delle cose accadute che, arrivati al punto di doversi separare, lo invitano a rimanere a cena con loro. Sarà proprio nella condivisione del pane che lo riconosceranno e, non riuscendo più a contenere l’ardore che provavano, sentono il bisogno di comunicarlo agli altri e corrono pieni di gioia e di entusiasmo ad annunciare agli apostoli che lo hanno incontrato, che è vivo.

Quante volte anche noi troviamo persone sofferenti, deluse, che si sentono tradite dalla vita come era accaduto a quei discepoli. Anche oggi Gesù vuole farsi compagno di strada di ogni uomo, vuole arrivare al cuore di ciascuno illuminando la sua vita e facendogli scoprire il senso di ogni avvenimento.

E questo vuol farlo attraverso i cristiani che sono la sua presenza viva oggi. Ci chiama tutti ad un compito difficile, ma esaltante: rifare, accanto ad ogni uomo, la stessa esperienza di affiancarsi e percorrere accanto a loro un tratto di cammino.

Prima di mandare gli apostoli ad annunciare il Vangelo Gesù ha voluto donare loro il modello di come farsi prossimo, che è appunto l’episodio che abbiamo citato. Anche oggi molti uomini possono essere delusi dalla loro vita, o anche da Gesù, o, meglio, dalla Chiesa, forse la loro fede, ricca di fascino nell’infanzia, non è poi riuscita a dire parole veramente importanti e significative di fronte ai problemi della vita, della famiglia, del lavoro, dei figli, dell’impegno sociale, insomma, di fronte ai gravi interrogativi dell’età adulta.

Questi uomini hanno bisogno di incontrare chi sappia farsi loro compagno di viaggio, di chi sappia affiancarsi senza saccenteria, senza porsi a maestro, con estrema discrezione, per far capire che Dio non è indifferente alla loro vita, alla loro esperienza, che faccia scoprire che esiste un progetto di Dio più grande dei loro pensieri, ma proprio per questo più bello, più utile, più entusiasmante, capace di dare respiro e speranza.

Affiancarsi ad ogni uomo per constatare insieme che le nostre speranze sul lavoro, sul benessere economico, sulla famiglia, sulla riuscita dei figli, pur recandoci tante soddisfazioni, sono anche fragili e passeggere e più volte ci deludono.
Perché allora non vedere in queste speranze grandi, eppure fragili, il segno di una speranza misteriosa e che non delude, cui è chiamato il nostro cuore?

Affiancarci ad ogni uomo, percorrere la stessa strada vuol dire entrare nello spazio in cui siamo chiamati ad ascoltare il mondo, gli uomini e le donne con le loro sofferenze, le speranze e le fatiche. La strada è il luogo in cui noi cristiani siamo innestati nella comune vicenda di un popolo ed è il luogo in cui siamo chiamati a svolgere il difficile compito di essere sale e luce, di testimoniare con coerenza la nostra fede.

E testimoniare la fede vuol dire essere disponibili allo scambio, al confronto, al dialogo all’interno e all’esterno della comunità cristiana: non con diffidenza, arroccamento, intransigenza, non con lo stare su posizioni difensive, non con il cedimento alla tentazione di ripagare con la stessa moneta l’ostilità e il disprezzo da parte della società non cristiana, bensì, come diceva Paolo VI, “guardare al mondo con immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo”.

Per questo abbiamo bisogno di una forte interiorità aperta alla relazione con Dio e con i fratelli, che è la via privilegiata per giungere ad una piena umanità. Abbiamo bisogno di una luce ma non esteriore, bensì che si accenda dentro di noi, dentro il nostro cuore; un cuore preparato dal silenzio, dal raccoglimento, dall’ascolto, dal colloquio intimo con Dio.
E questo non si può dare per scontato per nessuno. Occorre intraprendere un cammino spirituale che chiede scelte personali coraggiose e convinte.

Nel rispetto dei ritmi e dei tempi di lavoro, oggi sempre meno regolari, e dei molteplici impegni, è importante trovare dei momenti di sosta ai quali rimanere fedeli nell’arco del giorno e della settimana, perché abbiamo bisogno di nutrirci con la preghiera, la meditazione, abbiamo bisogno di assaporare nel silenzio la Parola. Dio per molti è diventata una parola lontana, non più usata e a volte ambigua; a volte i cristiani possono essere l’ostacolo principale alla fede, mentre continua a salire dall’umanità quel grido esplicito, o tacito, che il Vangelo ci riferisce, dei greci saliti a Gerusalemme: “Vogliamo vedere Gesù!”.

È un grido che chiede ai cristiani, uomini e donne di mostrare Gesù facendo vedere la loro vita ispirata dal vangelo e ad esso conformata, testimoniando la prassi di servizio, di amore, di riconciliazione e di libertà vissuta sulla scia del loro Maestro. Il primo compito di un cristiano resta quello di conformare la propria vita alla vita di Gesù, una vita che ha saputo “narrare” Dio nella storia. Trovare spazi personali di approfondimento, di speciale relazione con il Signore e di rinnovato impegno per imparare a coniugare, sempre più e meglio, il Vangelo con la vita di tutti i giorni.

La nostra preghiera ha il suo culmine ogni settimana nella Eucaristia domenicale, un momento in cui, anche visibilmente, ci riconosciamo comunità. Solo con questo percorso personale e comunitario potremo fare della strada un luogo di accompagnamento delle persone, aiutandole a leggere la propria vita alla luce della Parola di Dio: è l’unico mandato di Gesù datoci prima del suo ritorno al Padre:“andate in tutto il mondo, predicate il vangelo a tutti gli uomini”.

Maria, Madre di misericordia, da secoli venerata anche come “odighitria”, protettrice del cammino, che ci accompagna lungo la strada della nostra vita, che è intervenuta nella storia di questa nostra città, e continua ad intervenire con cuore di madre nella vita di tutti noi, ci aiuti non solo a percorrere con determinazione la nostra strada verso il Signore, ma ci aiuti a scorgere in coloro che stanno camminando accanto a noi non dei concorrenti, non degli oppositori, non persone che ci sono indifferenti, ma dei compagni di viaggio con cui condividere un tratto di strada, facendoci solidali con loro, premurosi e discreti, solleciti e pazienti, e soprattutto, capaci di risvegliare in loro quella sete di Dio che, anche se sopita in qualche caso, è sempre presente in ogni uomo.

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