Liguria. Secondo l’ultimo rapporto Uil sul lavoro sommerso sono oltre 1,2 milioni i lavoratori risultati irregolari nelle aziende ispezionate negli ultimi 5 anni; di questi il 47,2% (pari a 581.360 lavoratori) è stato scovato completamente in nero. Mentre la percentuale di aziende irregolari sul totale di quelle ispezionate è risultata pari al 61,7%: in valori assoluti si tratta di 854.732 aziende.
L’indagine è stata elaborata dal Servizio politiche territoriali e del lavoro guidato dal segretario confederale Guglielmo Loy e realizzata sulla base dei risultati delle ispezioni condotte, da gennaio 2006 a ottobre 2010, da ;inistero del Lavoro, Inps, Inail ed Enpals. Dall’analisi delle ispezioni effettuate a livello territoriale – riferita alla sola attività ispettiva condotta dal Ministero del Lavoro – da gennaio ad ottobre 2010 emerge che, “a differenza di diffusi luoghi comuni, questo fenomeno non è prevalentemente radicato nel Mezzogiorno”. Secondo lo studio, infatti, tra le Regioni con il più alto tasso di aziende irregolari tra quelle ispezionate quattro su cinque sono presenti nel centro-nord: Liguria (73,1%), Lombardia (63,9%), Marche (62,9%), Campania (il 59,8%) e Umbria (il 59,4%). Così come la più alta percentuale di lavoratori in nero rispetto all’occupazione irregolare trovata nelle aziende ispezionate è stata riscontrata prevalentemente nel nord: in Liguria si aggira intorno al 44,2%.
I dati “confermano che il lavoro irregolare è una vera e propria metastasi del sistema economico e produttivo”, afferma Loy, ricordando che nel precedente rapporto si stimava che il fatturato dell’economia sommersa, nel 2009, fosse arrivato a 154 miliardi.
“Ci sono le condizioni per far sì che il 2011 possa essere l’anno della lotta al sommerso e all’evasione”, aggiunge Loy: “Solo riportando a livelli fisiologici il tasso di lavoro irregolare sarà possibile creare un contesto positivo al dibattito sulla quantità e qualità del lavoro, sul rapporto tra stabilità e flessibilità, sulla necessità di incentivare le imprese a creare posti di lavoro stabili e utilizzare, senza abusarne, tipologie di lavoro non standard che, pur essendo forme ‘regolari’, cioè non illegittime di lavoro, non sempre rispondono alle regole”.