Cronaca

Reportage da via Becchignolo: due anni di “stranezze” nel cantiere discusso

Finalborgo. Una sequenza di scatti che immortala il grosso uncino di una gru – una “pinza”, come viene chiamata dagli addetti ai lavori – che, senza tanti  complimenti, strappa letteralmente via la parte centrale del tetto di una casa. Poi tegole  che cadono disordinatamente, tra polvere e calcinacci che rendono l’aria irrespirabile.  Tutt’attorno le abitazioni dei residenti di via Becchignolo, a Finalborgo, che, ogni tanto, sentono vibrare i muri dei propri appartamenti, e si chiedono se questo sia un “normale” effetto collaterale della demolizione.

L’obiettivo della macchina fotografica si sofferma poi sull’utilizzo, da parte degli operai del cantiere, di grossi tiranti che vanno a perforare il terreno sottostante le case – ovviamente abitate – a circa 8 metri di profondità. Troppo pochi per non avvertire ogni tanto una sensazione di “tremolìo” e per non domandarsi se si tratti di un'”invasione domiciliare” non autorizzata. In effetti lo è. Secondo quanto dice il Codice Civile, quando si è proprietari di un’abitazione, si può disporre infatti anche della parte “interrata”, almeno fino a  una certa profondità, magari per costruirci un giorno dei box. Ora là sotto ci sono però dei grossi “fili” metallici (in una foto sono evidenziati con un cerchio rosso), imposti dai lavori di un cantiere che i residenti di via Becchignolo hanno  messo sotto esame anno dopo anno, e “clic” dopo “clic”.

E’ come se molti di loro si aspettassero che  prima o poi qualcosa sarebbe accaduto. O meglio, “caduto”, come è successo per la parte di collina che il 4 maggio scorso è venuta giù portando allo sgombero di 4 famiglie (una sola residente fissa in via Becchignolo, e già tornata a casa). Una frana che, secondo chi vive qui, è stata quantomeno “sollecitata” dai lavori del cantiere immortalato nelle foto: “lavori dozzinali – dicono – e condotti ‘al risparmio'”, come dimostrerebbero gli scatti che ci sono stati proposti.

Via Becchignolo è interessata da due anni dalle operazioni di demolizione dell’ex conceria di Finalborgo  che verrà trasformata in abitazioni e attività commerciali. I cittadini che abitano qui hanno subito in tutto questo periodo una serie di snervanti disagi che imputano ad una presunta disorganizzazione dell’impresa del cantiere che ha chiuso le strade di accesso alle loro case (costringendoli a “circumnavigazioni” chilometriche, magari con spesa e carrozzine al seguito) e portato avanti operazioni “a singhiozzo” e negli orari più improbabili. Il tutto, racconta chi vive qui, nel completo disinteresse delle istituzioni. A nulla è servita la petizione del 17 novembre 2008 con la quale, vista la lentezza dei lavori, una trentina di cittadini chiedeva la riapertura delle vie di accesso alle loro case (poi in parte concessa, ma solo per il weekend) così come ora paiono inascoltate tante altre richieste. Prima fra tutte: quella di vedere l’elaborato del progetto dell’ex conceria, per verificare eventuali errori o mancanze. “Ad esempio, abbiamo voluto sapere se la ditta che ha portato avanti i lavori avesse pagato il suolo pubblico, dal momento che ognuno di noi, se solo osasse mettere una transenna in una strada, dovrebbe provvedere in tal senso – raccontano qui -. Alla fine abbiamo scoperto che, nonostante non fosse stato pagato un centesimo, siamo stati obbligati a subire le loro snervanti limitazioni. E ora, improvvisamente, esiste un contenzioso tra la ditta in questione e il Comune per il pagamento di circa 80mila euro. Un ritardo quantomeno singolare”.

Così come “singolari” sono le fotografie che, mese dopo mese, alcuni hanno scattato dalle loro finestre. Tra gli abitanti del quartiere di via Becchignolo ci sono anche “addetti ai lavori” che sanno riconoscere un lavoro fatto bene da uno approssimativo. E così veniamo a sapere che utilizzare un martello pneumatico per le demolizioni, per quanto lecito, non sia la soluzione ideale per una zona abitata, proprio per le sollecitazioni che esso provoca al terreno. E’ per questo che, in casi simili, di solito si usano malte espansive, decisamente più “soft” e senza “effetto terremoto”. Certo, sono costose, ma decisamente più sicure.

E nemmeno l’utilizzo di una pinza che “strappa” i tetti delle case sarebbe raccomandabile dal momento che tegole e massi cadrebbero in modo incontrollato, col rischio di ferire magari qualcuno. Se poi quel qualcuno è un operaio che lavora senza caschetto (così come ogni tanto accadeva ed è verificabile da alcuni scatti) il rischio diventa più concreto.

Per non parlare della pericolosità di un cantiere come questo che spesso stava per lunghi periodi in stato di abbandono e veniva “adottato” dai bambini come luogo per i loro giochi, tra buche insidiose e pezzi di metallo altrettando pericolosi. A poco servivano le basse transenne poste a delimitare la zona: scavalcare era facile anche per ragazzini come questi, immortalati mentre corrono tra i massi e impugnano tubi arancioni.

Così come molti non si spiegano come mai nessuno si accorgesse dello stato precario del muraglione sottostante le case, quello che il 4 maggio è parzialmente crollato. Le foto che lo ritraggono in uno stato decandente sono datate giugno 2009. Bisogna aspettare il gennaio 2010 perchè la ditta provveda a rinforzarne una parte con una rete elettrosaldata e ricoperta col cemento, come si vede in una delle immagini che vi mostriamo. Un altro lavoro dozzinale e insufficiente, secondo i residenti, a scongiurare la frana.

“Oggi, a distanza di un mese dallo smottamento, tutti i ponteggi sono stati tolti – precisa uno dei “fotografi improvvisati” – il cantiere è stato in parte sistemato e pare che stiano per costruire una passerella per farci accedere alle case. Questo, però, non ci ripaga di due anni di disagi enormi nell’indifferenza delle istituzioni. Il nostro reportage ‘fai da te’ dimostra che l’organizzazione in quel cantiere lasciava quantomeno a desiderare, che alcuni errori tecnici sono stati commessi, che la sicurezza era in alcuni casi un optional e che se i lavori fossero stati condotti con maggiore attenzione e con gli strumenti giusti magari la frana non si sarebbe verificata. Capiamo che ogni ditta abbia un budget da rispettare ma risparmiare sulla nostra incolumità mi sembra inaccettabile. Noi pensiamo che sia successo questo. Che il comportamento di chi ha condotti i lavori sia stato arrogante e che le istituzioni siano state scandalosamente assenti”.

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