Cronaca

Strage di Nassirya, nessun colpevole tra i comandanti del quartier generale italiano

Monumento maresciallo Ghione

Finale L. Terza assoluzione per la strage di Nassiriya, nella quale ha perso la vita anche il maresciallo finalese Daniele Ghione. Il tribunale militare di Roma ha infatti assolto “perché il fatto non costituisce reato” il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, accusato di non aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie alla difesa di Base Maestrale, il quartier generale dell’Arma devastato dall’attentato suicida del 12 novembre 2003, nel quale morirono 19 italiani (12 carabinieri, cinque militari dell’Esercito e due civili). Gli altri due imputati, i generali dell’Esercito Vincenzo Lops e Bruno Stano, erano stati già processati ed assolti. Nei loro confronti è pendente la Cassazione.

Nel maggio 2007 la procura militare di Roma chiese il rinvio a giudizio dei tre ufficiali per “omissione di provvedimenti per la difesa militare”, un reato previsto dal codice penale militare di guerra. Il gup ha però deciso di procedere per il diverso reato di “distruzione colposa di opere militari” previsto dal codice penale militare di pace. Lops e Stano, i due generali che si erano avvicendati al comando del contingente italiano a Nassiriya, hanno scelto di essere processati con il giudizio abbreviato: il gup ha assolto Lops e condannato Stano a due anni, ma il generale è stato poi assolto in appello.

“Sono molto soddisfatto”, ha commentato l’avvocato di Di Pauli. Il pm aveva chiesto due anni di reclusione. I tre ufficiali erano accusati di non aver provveduto, “con specifiche disposizioni operative, ai mezzi necessari alla difesa” di base Maestrale. In particolare avrebbero agito con “imprudenza – si legge nel capo di imputazione – riguardo alla valutazione del livello di rischio connesso alla minaccia concretamente esistente, in quel contesto, di attacchi armati contro le forze del contingente italiano da attuare mediante mezzi mobili carichi di esplosivo”. E con “negligenza riguardo alla necessità di innalzare le misure di protezione passiva, in modo da adeguarle alle notizie, sempre più crescenti, dettagliate e diffuse, di un rischio concreto di attentati”. Gli imputati hanno però sempre rivendicato la correttezza del loro operato, sottolineando che tutto ciò che si poteva fare era stato fatto e che nessuna minaccia è stata sottovalutata.

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